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R Recensione

7/10

'A 67

Naples Power

Questo non è un semplice cd, ma un progetto più ambizioso e complesso di una semplice raccolta di 14 brani su un dischetto metallico. Partiamo dal titolo: Naples Power si rifà espressamente a quel Neapolitan Power che alla fine degli anni ’60 rivoluzionò la musica italiana, grazie alla felice intuizione di riprendere la tradizione e mixarla con i nuovi suoni americani. A sua volta quel movimento si rifaceva alle rivendicazioni sociali del Black Power americano. Nelle parole degli ‘A 67, questo disco rappresenta il recupero di un suono e di un’idea nati da istanze e rivendicazioni sociali forti. Per fare questo, la band funk napoletana ha deciso di riprendere alcune canzoni del passato più o meno recente, e di reinterpretarle insieme agli stessi autori.

Si inizia con Naples Power (l’unico brano nuovo del cd) ed un featuring di tutto rispetto, Maria Pia De Vito, una delle più importanti vocalist jazz italiane, che apre con un intro vocale un brano dal forte impatto funk metal, travolgente, che ricorda le prime cose dei Living Colour. Ricordo che tornerà più volte nel corso dell’ascolto di questo lavoro, non solo per l’aspetto musicale ma anche per quello concettuale. La band americana si rifaceva allora allo stesso Black Power a cui si rifanno oggi i napoletani, mutuato dal Neapolitan Power. Questo tiro funk rock lo troviamo in Accussì va ‘o munno, brano di Edoardo Bennato (firmato con lo pseudonimo di Joe Sarnataro con cui pubblicò nel 1992 un disco dall’anima rock blues) dal forte impatto rock, in cui il cantato rap degli ‘A 67 si alterna all’ottima prestazione di Bennato, presente in questo disco anche con la celebre Signor Censore, che nonostante gli alti e bassi dell’ultima parte della sua produzione discografica, resta una delle voci più credibili del rock italiano. Ritmato, funk e duro è anche Suddd, un brano che ha segnato un vero e proprio punto di svolta nella rinascita della musica napoletana agli inizi degli anni ’90. Il trattamento degli ‘A 67 trasforma il brano degli Almamegretta in un funk rap elettrico che lascia spazio alla grande voce di Raiz per dispiegarsi tanto nella parte rap che nel ritornello melodico.

Perfettamente riuscito l’esperimento di riprendere i brani più tradizionali con l’impatto funk elettrico, come avviene in Pe’ dispietto (della Nuova Compagnia di Canto Popolare) dove i suoni elettronici e il rap fanno da contraltare ai suoni mediterranei ed al cantato melodico di Sara Grieco e Giovanni Mauriello (mandola e violini elettrici: il folk degli anni 2000?) o in Vecchie, mugliere, muorte e criaturi, un brano del 1975 dei Napoli Centrale, che qui diventa un rock potente, duro, su cui si staglia la voce nera e soulfull di James Senese (uscito in questi giorni con il suo nuovo lavoro,  E' fernut ‘o tiempo) alternandosi al parlato di Daniele Sanzone (voce degli 'A 67). O ancora nelle più recenti Vesuvio degli E Zezi, tra folk e funk rock, con la voce della storica band operaia napoletana Marcello Colasurdo che incontra il funk degli ‘A 67, impreziosito dal violino di Francesco Moneti dei Modena City Ramblers, e in Sacco e fuoco di Teresa De Sio, una delle voci più belle e caratteristiche del nostro sud, un molto bello, ritmato, non troppo modificato nel suo impianto originale se non con l’inserto rap degli ‘A 67.

L’anima nera e soul di questo lavoro, oltre che nel già citato James Senese, la troviamo nella ballata elettro funk Tien a men, uno splendido duetto tra le due voci roche e soul di Enzo Gragnaniello e Petra Montecorvino, in Oggi non ho niente da dire, un testo intenso, un brano notevole, strutturato su suoni elettronici e programming, con le due voci che si alternano tra il cantato di Sergio Maglietta dei Bisca ed il rap di Sanzone. E parlando di rap, non potevano mancare i numeri uno del rap napoletano, i 99 Posse, rappresentati con Povera vita mia. Zulù è la solita lingua sciolta che corre a mille all’ora, in uno dei testi più belli della posse napoletana, sul problema della precarietà del lavoro. Sembra scritto oggi, ma è di dodici anni fa: quando gli artisti vedono più lontano dei politici.

A chiudere il disco arriva ‘A camorra song’ io, una specie di auto cover, vale a dire la versione remix del brano degli ‘A 67 ad opera di Gigi Canu dei Planet Funk. Il disco è prodotto da Enzo Rizzo (già al lavoro con Mano Negra, Manu Chao e 99 Posse), e tra i musicisti ospiti troviamo il meglio della musica napoletana, compresa quella che era la band di Pino Daniele nel suo periodo migliore: Joe Amoruso, Ernesto Vitolo, Rino Zurzolo, Tony Esposito e Tullio De Piscopo di cui viene ripresa l’allegra Stop Bajon. L’operazione è completata con un libro di 64 pagine (che raccoglie scritti inediti e riflessioni sugli artisti presenti nel disco, ad opera di, tra gli altri, Roberto Saviano, Peppe Lanzetta e Valeria Parrella, con prefazione di Carlo Lucarelli e dedica del Sindaco di Napoli, Luigi De Magistris).

Questo non è un semplice cd, ma un atto d'amore per un suono, una città, una storia e una tradizione musicale. Di più: è il tentativo di dare dignità ad un movimento culturale nato dal basso, in cui trovare le proprie radici per ridare forma e senso al futuro.

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