Delorean
Subiza
Per i baschi Delorean, “Subiza” è già il terzo album. I primi due esulano dal nostro interesse (e da quello del genere umano nella sua interezza), proprio perché ripostigli punk/wave in cui polvere, tarme e ratti abbondano. Olè, cestinati. Non così l’EP dello scorso anno, il gioiellino “Ayrton Senna”, che ci presentava dei Cut Copy “rinvigoriti” a suon di bagni termali nella clinica della Dott.ssa House (Music): delicatessen danzerecce da gustare in spiaggia, al tramonto, fra un cornetto e l’altro; o la sera, sul dancefloor, fra un due di picche e l’altro. Opera perfetta per compiacere il neonato prodigio indie, il glo-fi, del quale ha anzi contribuito a diffondere il condensato di malinconie adolescenzial-puberali tapinamente (per non dire magnificamente) ‘80s. Diverso il discorso circa l’estetica produttiva, dato che il suono dell’EP rispettava principi di compattezza ritmica e lucentezza timbrica che esulano dai dogmi – peraltro molto elastici, ricordiamolo - del genere. Cascati, come piccioni attirati dall’hypno-fagiuolo, nel precipitato stilistico-iconografico anche noto come “dream-beat”, i nostri ne erano, insomma, usciti a testa alta.
Ecco perché dispiace – e sia detto senza retorica – constatare la pochezza del disco qui presente. Opera pinguemente festaiola, in qualche occasione omaggiante il baraccone pata-psichedelico MGMT (quelli di “Oracular Spectacular”), congestionata da campioni vocali alla lunga stucchevoli, imbacuccata di cori efebici che puzzano di Animal Collective lontano un miglio; somiglia al parto cesareo di un Panda Bear strafatto d’epidurale, forzato a simulare orgasmi olografici per un’estate da vivere (e non da ricordare). Ma esageriamo pure coi paragoni di cattivo gusto: “It’s All Ours” è Panda Bear alle prese con incerti slanci dancehall e larvati muschi world; “Real Love” è Panda Bear costretto a sudare e battere il tempo nei club di Ibiza, quando in cuor suo vorrebbe starsene a casina propria, con la quotidiana dose di minimal techno in cuffia; “Infinite Desert” è Panda Bear che si ritrova fra le mani il vinile della “African Suite”, scambiandolo per un reportage fonografico sui rituali di fertilità del Centro Africa; “Warmer Places” è Panda Bear che canta in un brano qualsiasi di “Merriweather Post Pavilion” (tristezza…).
Si è parlato, a proposito di “Ayrton Senna”, di sound per lo più ancorato agli ‘80s, ma va dato atto a “Subiza” d’essersi smarcato, almeno in parte, dal cliché: meno strictly synth-pop (posto che più di techno-pop si sarebbe dovuto parlare) e più richiami alla sensibilità rave dei ‘90s. Non c’è da stupirsi, pertanto, se “Simple Graces” esordisce come un’outtake di “Screamadelica”, rimestando gioia “chimica” e lontani recessi hip-house, o se da “Endless Sunset” trapela l’elettronica acid ma barocca degli 808 State periodo “Ex:el”; piuttosto c’è da rammaricarsi per quei vocals pasticciati, salmodianti, mixati a un volume tale da eclissare buona parte del suono (in controtendenza rispetto alla prassi “ipnagogica”).
Per fortuna, qualcosina di davvero buono c’è. “Come Wander” in primis: bruciante partenza balearic, cassa dritta, serpentina di basso, stacchi pianistici italo belli sudaticci, nonché un disegno melodico appiccicoso come pochi. “Grow” potrebbe addirittura candidarsi a brano migliore della raccolta, e proprio perché al suo interno permangono quei vaghi segni “neworderiani” di un’attrazione misteriosa, la grammatica del ricordo sfumata in miraggio, fra coralli di tastiere dolcemente Yazoo, chitarrine pizzicate, e soprattutto voci nervose, per un attimo davvero intense. Ma è, appunto, un attimo. Per il resto, i Delorean non azzeccano quasi mai una melodia degna di nota (neppure quando le “condizioni ambientali” si sarebbero dette favorevoli allo sviluppo di questa preziosa – e fin troppo bistrattata – forma di vita), e a poco giova lodare la buona tenuta delle ritmiche se, appena più su, si arranca con soluzioni o idee pestilenziali (come puntualmente avviene).
Soprattutto, si avverte l’artificiosità (attenzione: non l’artificialità!) dell’operazione: se il glo-fi è la stralunata rievocazione di determinati significanti emotivi, qui dov’è il sentimento (anche/soprattutto ingenuo)? Dove l’emozione (anche/soprattutto velata d’ironia)? Dove la necessità, il bisogno fisico di partire per la tangente dei ricordi? Fra beat pasciuti e rifiuti “animali”, i Delorean hanno smarrito – ammesso che l’abbiano mai trovato – il senso di un intero mondo sonoro. Peccato.
Tweet