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R Recensione

6,5/10

Free Nelson Mandoomjazz

The Organ Grinder

Non tragga in inganno la struttura elementare e sottilmente disturbante  dell’iniziale “Open The Gate”, in piena continuità con la formula Black Sabbath meets Albert Ayler dei precedenti lavori “The Shape Of Doomjazz To Come/Saxophone Giganticus” e “Awakening Of A Capital”. Con The Organ Grinderil trio scozzese Free Nelson Mandoomjazz compie il passo avanti più significativo della propria breve carriera, lanciando segnali innovativi verso quelle che potrebbero essere le nuove direzioni da approfondire. 

Il jazz, innanzitutto, libero dalle pesanti catene doom metal in diversi episodi costruiti sugli intrecci dei fiati - insieme al sax di Rebecca Sneddon, ospiti la tromba di  Luc Klein ed il trombone di  Patrick Darley – e sulla granitica ritmica di  Colin Stewart al basso elettrico e Paul Archibald alla batteria : su questo fronte troviamo i fraseggi post bop di “You Are Old Father William’, la tromba stride di “LORA”, il groove galoppante di ‘Shapeshifter’, e la cover  di ‘Calcutta Cutie’ di Horace Silver, dove compare addirittura un pianoforte, con una graffiante alternanza di temi strutturati e sezioni free. Altrove l’orizzonte si volge verso una sorta di post jazz scuro ed ambientale dove fiati, rumori ed umori scuri del basso si mescolano a creare un’ inquietante soundtrack (la lunga “The woods” che evolve in una improvvisazione atonale, la finale “Om” e, su questo fronte, anche le avvolgenti volute del sax e del basso elettrico di  “Funanbule” sul finale aperta ad imprevisti squarci melodici). Infine il ritorno all’amata formula metal jazz, brevi cellule tematiche sparate dal sax sulle risonanze delle corde elettriche del basso e sui beats dei tamburi, preludio ad esplosioni di squittii e soliloqui rumoristi della Sneddon, rappresentata qui da “Bycicle day”, dalla luciferina “Inferno pt.1 “ e dal brano iniziale. 

Su questo versante rimangono alcune delle perplessità suscitate dai precedenti lavori, soprattutto dove gli schemi sonori tendono a ripetersi e le composizioni si distinguono con fatica.  Se quello era il passato, comunque, il presente ed il futuro paiono, se non luminosi, almeno molto più intriganti per l’incapucciato trio di Edimburgo.

 

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C Commenti

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Marco_Biasio alle 12:01 del 3 ottobre 2016 ha scritto:

Un approccio preliminare (due-tre ascolti) mi conferma gli enormi passi in avanti fatti dalla band rispetto al modestissimo esordio e al già migliore sophomore. Ho apprezzato molto la maggiore ricerca melodica, anche se stilisticamente non trascendentale (i duelli tra sax e tromba sono l'emblema del bop e mi hanno riportato alla mente, in alcuni frangenti, gli Zu di Bromio), e l'allargamento della strumentazione. In generale mi sembrano tutti molto più a loro agio, molto più padroni del proprio strumento. La tracklist - anche se un filo troppo lunga - ringrazia. Per ora siamo sul 7, ma naturalmente continuerò ad ascoltarlo anche nelle prossime settimane.