Eleventeen Eston
Delta Horizon
Sono passati ormai cinque anni dal sotterraneo scatenamento della doppia ondata glo-fi e hypnagogic pop: tempo sufficiente per chiedersi che ne è stato e se ha lasciato qualcosa. Ha lasciato, intanto, qualche nostalgico della nostalgia, anche se John William Tanner, australiano di Perth battezzatosi Eleventeen Eston, ci tiene a sottolineare la natura poptimistica e le good vibrations della sua musica. Che però, di fatto, sta tutta, di nuovo, in un ripescaggio delle sonorità radiofoniche 80 che si distendono su una produzione di bassa qualità tutta seppia e svaporamenti (su nastro di musicassetta, naturalmente: retromania pura).
I pazzi della Not Not Fun, che pubblica, dicono trattarsi della potenziale colonna sonora di qualche miticamente sfumato video che insegna a come andare in deltaplano (meraviglia, le descrizioni Not Not Fun ai propri dischi). E parlano di piano pastello, tastiere annebbiate, ritmi funky, chitarre upbeat che surfano sulla batteria acquosa. Si sentono, della wave hypna, soprattutto il Rangers di Suburban Tours e qualcosa di Outer Limits Recordings (di cui, tra parentesi, la Grand Imperial Records ripubblica ora il succoso III: The Symbol of Infinity del 2009), anche se non è scorretto risalire direttamente a reminiscenze lounge e tropical fine 70 per spiegare il corso sinuoso e rilassato di queste piccole jam.
Sta di fatto che si gode, praticamente senza sosta, lungo tredici bozzetti ideali per i meriggi marittimi, gli svacchi spiaggeschi, gli scialli post-prandiali estivi sulleco delle posate, i sogni di California in cameretta, gli sciacquii agostani. The Sling, Shoelace Episode 1: Hugos Theme Prelude (con plasticosissimi sample di fiati), Two Stroke Vertical Climb (soundtrack per tutorial su come andare in barca a vela) e Pale Geranium Lake (quando il titolo dice tutto) le migliori.
Cosaltro ha lasciato, poi, dunque, il carrozzone del sottobosco hypna? I vapori di certo dream pop? La vaporwave stessa? O solo, meglio: la voglia di riascoltarlo.
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