V Video

R Recensione

7/10

Floating Action

Body Questions

Faccio questa cosa un po’ per pigrizia e un po’ per provocazione, ma la faccio. Ecco: copio dalla mia recensione allo scorso disco di Floating Action.

“Il misconoscimento di Seth Kauffman resta un mistero, ma intanto è confortante che lui continui a elargire un disco all’anno, così, dalla sua spiaggia remota. Nel progetto Floating Action suona tutto questo barbuto da Black Mountain, e tutto suona da dio: pop rétro per vinili, voce insonnolita per serenate estive, chitarre ciondolanti in fedeltà medio bassa che sfrigolano piccoli riff impolverati, retrogusto motown e seppia per il cuore. Per camerette, ma anche per pigri romanticismi da balere sperdute. Tra The Love Language e i migliori Dr. Dog (coi quali hanno condiviso un singolo nel 2009), i Floating Action sono una delle proposte più interessanti in questa nicchia di vintage indie pop dalla patinatura sixties, pieno di un’intima malinconia che però diventa come nulla felicità”.

Fatto.

E l’ho fatto per due ragioni.

1) Seth Kauffman continua a fare dischi bellissimi senza cambiare di una virgola la sua proposta musicale.

2) Nessuno continua a filarselo, tanto che questo nuovo “Body Questions” esce ancora più in sordina dei precedenti tre dischi. Eppure, oh, a me Floating Action convince sempre di più, perché non sbaglia non dico un album ma nemmeno un pezzo, e così pure stavolta il ragazzo del North Carolina piazza dodici canzoni in successione godibilissima, con un piglio leggermente più muscolare rispetto al passato.

Le lezioni di Dan Auerbach e Jim James assicurano la capacità di abbinare un’attitudine granulosa e fondamentalmente lo-fi a una grande sapienza strumentale, per cui nell’arrangiamento nulla è lasciato al caso, dalle chitarre elettriche sgrezzate di “Taking Me A Little While” alle conga che movimentano “Earth-Shackles”, dalle movenze funky dei chitarrini (“No Surprise There”) alle partiture reggae di “Fang & Furr”.

Il disco finisce per filare più liscio rispetto ai precedenti, per i maggiori episodi giocosi su ritmi rimbalzanti (“House of Secrets”, con screziature psych-rock, “Hide Away Too Long”, la più scura “Long Dark Shadow”), anche se il mio personale Kauffman preferito è quello dei pezzi neghittosi divanati su arpeggi leggeri e semplici melodie che scivolano come sull’acqua sopra wa-wa distratti e batterie a bassa fedeltà, tutto color seppia, per atmosfere che rendono la seconda metà del disco davvero splendida (“Don’t Wake Me”, “Call Out”, “Couldn’t Be Yourself”, la tropicalia spiaggiata della title-track).

Piccolo culto privato.

V Voti

Nessuno ha ancora votato questo disco. Fallo tu per primo!

C Commenti

Non c'è ancora nessun commento. Scrivi tu il primo!
Effettua l'accesso o registrati per commentare.