Son Little
Son Little
Oh, ve lo chiedo per l'ultima volta, così mi mandate a fare in culo per l'ultima volta. Cosa cercate, veramente, quando ascoltate un disco? O meglio, quale tipo di soddisfazione volete ottenere quando investite il vostro tempo libero? Leggete solo Umberto Eco? Andate al cinema solo quando c'è una rassegna di film sperimentali armeni? Sarà un problema legato all'età e alla consapevolezza della precarietà dell'esistenza (perchè dopo i quaranta, si sa, ogni volta che sbatti le palpebre potresti non riaprirle), ma io cerco sempre di più la soddisfazione immediata. Cerco un libro che racconti una storia semplice, un film che riproduca immagini intellegibili (ma ve lo ricordate quello che ha vinto l'Oscar facendo scomparire una giraffa?). Tra uno spettacolo circense e la riva di un fiume, scelgo la riva di un fiume. E nella musica, che occupa la maggior parte del mio tempo libero (e non solo), cerco l'emozione diretta, la comunicazione immediata. Al secondo cambio di tempo, per dire, mi sono già rotto i coglioni. Voglio la semplicità del blues, la sensualità esplicita dei vecchi dischi soul, la noiosa introspezione dei cantautori solitari, gli arrangiamenti poveri e le produzioni spartane. Sono diventato un vegano della musica, e un musicofilo orribile.
Tutto 'sto pippone per dire che mentre il mercato è invaso da musica fantasmagorica, prodotta da decine di sperimentatori, scienziati del suono e geni musicali futuristici, io riesco ad ascoltare solo il disco d'esordio di Aaron Livingstone, un ragazzotto di Philadelphia che ha scelto un nome d'arte che ricorda i vecchi bluesman del Delta: Son Little. La gavetta, al momento, è scarsa: un EP (bellissimo) uscito l'anno scorso e qualche collaborazione con RJD2 e The Roots. E pensando ai The Roots sovviene istintivamente Cody ChesnuTT, con il quale Son Little condivide il black-revival più spirituale, le tracce gospel e spiritual che legano entrambi alla musica soul degli anni '60 con un doppio salto passato prossimo-passato remoto-presente. Ma c'è dell'altro, in Son Little. Un senso di fragilità volutamente esposto e in controtendenza con lo stereotipo "black" fatto di bellezza e addominali scolpiti nella pietra lavica. Ha un aspetto dimesso, Son Little, e uno sguardo cupo venato di rosso in perfetta sintonia con pezzi che si intitolano "Your Love Will Blow Me Away When My Heart Aches" e sembrano un punto d'incontro tra l'introspezione serena del roots-reggae e quella più tormentata del soul di Philadelfia. La voce di Son è quella dei suoi genitori, un insegnante e un predicatore, è l'espressione dei posti nei quali ha vissuto: Son dice di sentire la Luisiana nella sua voce, ma si sottovaluta. Nella sua voce c'è la Giamaica, l'Africa e gli Stati Uniti nel Sud. E' una voce "black" atipica quella di Aaron, che somma le svenevolezze soul-pop di Lenny Kravitz all'espressività di Al Green e alla malinconia di Bob Marley. In più, si lascia doppiare da un controcanto corale che è sì gospel ma anche "bianco" come potevano intenderlo (state calmi) i Beatles.
Per mantenere fede al promesso "amore per la semplicità" mi limiterò a dire che nel resto del disco (perchè quel brano vale da solo un disco intero) c'è sostanzialmente blues (moderno in "Toes", stomp vecchio stile in "The River"), rock (ma sempre virato blues, alla Hendrix, come in "Carbon"), radici caraibiche (sentite le chitarre sull'indolente "Doctor In"), soul (un po' ovunque, siamo a Philadelphia) e almeno altre tre gemme purissime, che insieme alla gia citata "You Love Will Blow Me Away When My Heart Aches" permettono a Son Little l'immediato salto di qualità: la prima è una preghiera in punta di corde intitolata "Lay Down" ("Let the others run around, just this once / Let your hair down and pull the curtain / Let me see you in the light / Just lay down, mere words are worthless"), la seconda è una linea vocale perfetta contrappuntata da curiose tastiere "electro" ("Go Blu Blood Red"), la terza è un soul così classico da trasformare il mondo in bianco e nero ("Oh Mother"), mentre l'ultima (che in realtà è la prima) è un gospel dalla vocalità filtrata che concede qualcosa alle modernità nu-soul ("I'm Gone"). Avevo scritto almeno tre.
Semplicemente bellissimo.
Tweet