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R Recensione

6/10

Christian Prommer

Drumlesson Zwei

Ci sono persone che criticherebbero sistematicamente operazioni come quella di Christian Prommer, con le stesse motivazioni addotte per criticare gli album di cover, i rifacimenti di dischi storici, i remix-albums: “hanno copiato”, “non sono pezzi originali”, “con quella materia prima siamo bravi tutti” … ecc. Si è già detto – da qualche parte in queste pagine – della differenza tra il “copiare” un’opera artistica e “riproporla” apportando modifiche più o meno profonde a seconda della propria capacità e/o sensibilità. Non ci dilungheremo oltre, se non per sostenere che chi mette in campo tali motivazioni preconcette avrà sempre difficoltà nel comprendere una qualunque opera d’ingegno, semplicemente perché – nella necessità ostinata di rapportarla sempre all’originaria realtà – si preclude all’opera stessa la possibilità di essere altro rispetto al reale, ovvero opera - appunto – dell’ inventiva umana, elemento che nella realtà (fattiva, concreta e materiale) non esiste.

Ok ok, il disco. L’opera dell’ ingegno di Prommer - batterista/DJ/produttore di Monaco membro anche di Trüby Trio e Voom Voom si chiama “Drumlesson” (ovvero “lezione di batteria”) ed è giunta al secondo capitolo (“Zwei”, bene le lingue le so).

La prima impressione è che le cartucce migliori siano state utilizzate nel primo volume (ricordate? “Trans Europe Express”, “Strings Of Life”, “Around the World”) e che il giochetto di ammantare con spesse coperte jazz classici house, techno e quant’altro mostri già la corda. Eppure (come insegnano tanti esempi illustri, da Leonard Cohen ad Alessandro Del Piero) a volte l’abbondanza di classe basta da sola a tenere in piedi la baracca. E la baracca di Christain Prommer ha anche solide basi (K7), un buon architetto (Peter Kruder) e una notevole selezione di brani, che inizia con una versione “downtempo” di “Sandstorms” di Carl Craig e finisce con una dilatazione onirica di “Sandcastles” di Dennis Ferrer e Jerome Sydenham. Nel mezzo, tanta abilità snob (il tocco jazz su “Sleepy Hollow” di Stefan Goldmann), un discreto omaggio ai padri putativi Kruder & Dorfmeister (“High Noon”) e almeno un paio di numeri notevoli (il jazz da camera di “Acid Eifel” di Laurent Garnier seguito dalle progressioni ritmiche di “Oxygène part IV” di Jean-Michel Jarre colpisce, in sequenza – testa, gambe e cuore).

Non distante dal primo volume, formula invariata (variazioni su tema portante sempre rispettato), un tocco di manierismo in più e i soliti quintali di pregiata qualità. Ma se prendete la metropolitana di notte ascoltatelo in cuffia…

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