A Angel Olsen + Rodrigo Amarante @ Covo Club di Bologna (03/10/2014)

Angel Olsen + Rodrigo Amarante @ Covo Club di Bologna (03/10/2014)

Cadono le ghiande dalle querce, con un rumore sordo, tra le foglie già crollate, a ricordare che è autunno, qui attorno al Covo, che si dirada la luce come si diradano gli uccelli, e così il canto, degli uccelli, si dirada, gli usignoli. È un usignolo anche Angel Olsen, ginocchia grosse, naso a punta, piccola bocca esile dolce, come quella di un putto, la faccia tonda, di porcellana, liscia, una bambola (sarà la frangia?), un usignolo malaticcio, oggi, o un po’ sick, come dice, nella sua lingua, perché tossisce, sarà l’autunno appena cominciato, poco grida, poco dilata, poco gonfia la voce, ma avercene di corde vocali così belle, sopraffine, così angeliche (nomen omen), benché malate, benché irritate.

Prima che l’americana prenda piede sul palco, per un’ora solamente, alternando tosse a sorrisi, alternando post-grunge anni Novanta a ballate strappa-lacrime, declinando proposte di matrimonio che piovono dal pubblico, e che taciturne piovono anche dal mio cuore, c’è Rodrigo Amarante, icona brasiliana, leader dei Los Hermanos, ora solista con un disco illuminante (Cavalo), oggi dinanzi a cinquanta persone, o poco più, mentre ieri (ieri si fa per dire) riempiva gli stadi, come cambia la vita, basta spostarsi di latitudine, attraversi l’oceano, e ci sono altri gusti, forse peggiorano, altre esigenze. 

È per questo che conosco prima Fernanda, brasiliana, che poco mastica l’italiano, ed è per questo che poi conosco una vera colonia di ragazze carioca, che tutte per Rodrigo fibrillano, la voce calda, la barba che ne copre bocca e verbi, l’ironia sincera, dice che è di poche parole, la cucina italiana l’ha schiantato, sbeffeggia il tiramisù, muove le lunghe dita, un bell’anello alla mano sinistra, palpa la chitarra bianca, o color panna, si abbiglia che pare trasandato, ma trasandata non è la sua musica, anzi che ordine, che pathos, che cuore, che fascino, cantautorato d’alto livello, portoghese inglese e francese, folk poliglotta e prelibato, lo capisci subito, dalle prime note, dalle prime semplici note, dal modo di presentare la sua arte, e che arte, con il tono che è sempre quello, malinconicamente felice, è un paradosso quest’espressione, sì, ma è così l’indole dei brasiliani, forse è la sorte, dei brasiliani, è malinconicamente felice anche il sorriso di Fernanda, Fernando è invece Pessoa, proprio mentre leggo un libro in cui c’è lui, Pessoa, il libro è del maestro, Saramago, sarà per questo che non uso più punti, ora, scrivendo, come lui, sarà per questo che quei vocaboli portoghesi rimandano a Rodrigo, ad Amarante, a nome anche italiano, insomma quante coincidenze, le coincidenze della vita.

Angel Olsen suona uno dei dischi dell’anno, è proprio il suo, si chiama Burn Your Fire For No Witness, come il verso di un brano, mescola pezzi sporchi a pezzi lindi, cristallini, rimane chitarra e voce, alla fine, fa due lenti da brividi, per fortuna non fa Windows, mi sarei altrimenti sciolto, come se lei fosse il sole e io la neve, modo di dire solito, banale, ma calza a pennello, come si suol dire, ecco che ho usato un altro modo di dire solito, banale, mentre attorno c’è silenzio, c’è religioso silenzio, è strano, forse perché siamo pochi intimi.

Thomas è un professore sui quarant’anni, irlandese, è orfano di un'amica che doveva venire e non è venuta, come è accaduto a me, un imprevisto, Thomas ha bei gusti, parliamo molto, è sconcertato per la poca gente, perbacco è sempre Angel Olsen, e apre Amarante, roba da leccarsi i baffi, però forse è meglio pochi-ma-buoni, intanto senti che forza, questa bionda, vedi come senza plettro tratta la chitarra, come ondeggia con la voce, incarna ciò che era e ciò che è, e lo fa bene, lo fa sapientemente, questa Leonard Cohen al femminile, questa nuova Lisa Germano, questo residuo degli anni Novanta, questo sound che è redivivo, ero un bambino quando imperava, ma l’impero sembra tornato.

Tutto bello, tutto calmo, e quando esco fuori, all’una, cadono ancora le ghiande dalle querce, con un rumore sordo, tra le foglie già crollate, a ricordare che è autunno, qui attorno al Covo, che si dirada la luce come si diradano gli uccelli, e così il canto, degli uccelli, si dirada, gli usignoli. È un usignolo anche Angel Olsen, ne sono convinto, così giovane, le strappo un sorriso mentre ci fotografiamo, mentre firma l’autografo, tra la musica alta non comprende il mio nome, nome toscano, che ne sai lei che è del Missouri, vuole accertarsi che sia una “p”, la quinta lettera, allora scrive col pennarello una “p” sul dorso della sua mano, effimero tatuaggio, eppure domattina si desterà ancora con la mia “p” sulla mano, che rimanga lì per sempre, che i saponi smettano di smacchiare, che brilli quando imbraccia la chitarra, che penetri sottopelle, quella lettera, quel ricordo, che guardandola, Angel, sia sempre così seriosamente allegra, così malinconicamente felice, è questa l’impressione, dal volto dai gesti dai testi, sarà brasiliana anche lei, voglio dire brasiliana dentro, o forse il Brasile nulla c’entra, è la condizione dell’uomo, quella di essere, allo stesso tempo, malinconici e felici, beato chi però immortala, e immortala con classe, il suo essere malinconico e felice, anime come Rodrigo, come Angel, come Pessoa o Saramago o mille altri, a tutti loro volgo una supplica, “non estinguetevi” (eppure qualcuno già si è estinto), perché è uno dei pochi scopi, io credo, immortalare con classe, il nostro essere malinconici e felici.

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