R Recensione

3/10

The Night Watchman

One Man Revolution

Non vorrei star qui troppo a menarla con la triste storia dell’artista puro e radicale angustiato o allettato dalle trappole e le lusinghe dell’industria culturale. Storia vecchia di almeno due secoli e altrove fin troppo dibattuta: le più avvedute fra le superbe menti che assistettero alla nascita del fenomeno avevano già allora intuito come manomettere il meccanismo e girare a loro favore la ruota del plusvalore arte-merce. Vedi Baudelaire o D’Annunzio, in potenza due geni del rock, se solo fossero nati nella seconda metà del secolo scorso.

Storia che, per giunta, solo marginalmente attiene all’emisfero capovolto della “musica del diavolo” se consideriamo che ivi, come direbbe Ellroy, “abbiamo perso la verginità sulla nave, durante il viaggio di andata e ci siamo guardati indietro senza alcun rimpianto”. L’agiografia e la polemica, in questo caso, sono l’altra faccia del luogo comune e della nostalgia. Soltanto una verosimiglianza senza scrupoli può restituire la discussione ad un piano più coerente con le finalità prettamente estetiche e musicali di una recensione di questo tipo.

In altre parole, nel commentare il disco nuovo di Tom Morello, cercherò di parlare principalmente di canzoni e non di politica come hanno fatto molti degli appassionati (specializzati e non) fin dai tempi della famigerata dipartita dei Rage Against The Machine, passando per il sostanziale fallimento (artistico non certo economico) del supergruppo Audioslave, giungendo così alla fresca notizia della reunion del multietnico combo losangelino per alcune date dal vivo.

La verità è che Tom Morello un rivoluzionario lo è stato per davvero e non certo per una questione di attitudine, pose radical-chic o sincero impegno militante che sia, quanto per il modo in cui ha saputo rinnovare e sovvertire la concezione stessa della figura del chitarrista solista e la funzione dell’assolo nella canzone rock/metal. Erede dell’aggressività ipercinetica di Jimmy Page, allievo del neoclassicismo “cantabile” e strumentale di Joe Satriani, Morello ha lavorato per anni sulla sperimentazione di timbri, effetti e dissonanze con un senso di potenza quasi “nietzschiano” in grado di sublimare riff ciclopici, ritmiche da capogiro e divagazioni “hendrixiane”.

Ok, ma questo era il passato e, ahimè, al vostro ’lastsong, invece, è malauguratamente toccato in sorte di parlare del presente, per cui mi faccio coraggio: One man revolution (Sony, 2007), prodotto dal fido Brendan O’ Brien, è il primo vero disco solista del vecchio Tom, firmato con lo pseudonimo The Night Watchman e nato per ideale influenza e prosecuzione del suo progetto socio-politico-musicale Axis of Justice.

Da un punto di vista strettamente tecnico Morello abbandona i roventi virtuosismi da action-painting in favore di uno stile chitarristico minimale che alterna un umile folk(loristico) finger-picking allo scarno call and response acustico del blues, mentre la nota più lieta arriva dal suo sorprendente baritono, un accattivante crocevia fra Johnny Cash e l’Everlast di Black Jesus. Nessuna voglia di confutare la sincerità della sua ispirazione o l’entità di certe buone intenzioni ma è chiaro fin dalla prima canzone, una scialba, monotona California’s Dark, come questo combat-folk che ricicla il peggiore populismo “dylaniano” imprigionandolo in logore sonorità “spingsteeniane” da album quali Nebraska o The ghost of Tom Joad, non vada proprio da nessuna parte. E il livello non s’alza nemmeno con le successive One man revolution e Let freedom ring, quest’ultima un country balordo alla Warren Zevon completo di piano e spazzole, anche se il fondo viene realmente toccato solo con The road imust travel, un’imbarazzante quadriglia da irish pub che assomiglia ad una fecondazione eterologa di uno Shane Mc Gowan in coma etilico con un pezzo qualsiasi dei Modena City Ramblers (tanto chi s’è mai accorto della differenza?);c’è pure tanto di ritornello a violini spianati e coretti “na-na-na-na” che neanche Bob Geldof ai tempi dei Boom Town Rats.

Gli unici pezzi passabili sono quelli in cui Morello si avvicina ad un approccio più asciutto e confidenziale paragonabile per sensibilità alla tradizione degli chansonnier europei o, volendo fargli un complimento mica da ridere, ad una passabile volgarizzazione del songwriting di Leonard Cohen (The Garden of Gethsemani, Until the End).

Per il resto Maximum fire power e House gone up in flame sono roots-blues di maniera che conservano, in chiave acustica e declamatoria, qualche reminiscenza dell’audacia ritmica profusa dalla “sei corde” di Morello ai tempi belli, No one left e The dark clouds above arpeggi semplici, pacati e soporiferi, mentre Union Song e Battle Hyms sono canzoni di protesta di sconcertante banalità, anche nei testi che, superfluo a dirsi, non sono mai stati la specialità di casa Morello e che fanno rimpiangere il fluido, corrosivo slam-poetry di Zack De la Rocha.

In sostanza un disco deludente, impotente testimone d’una classe immensa sprecata a familiarizzare con un genere fragile e retrò per il quale è dura inventarsi, di colpo, a quarant’anni suonati, una profonda, improvvisa inclinazione.

Consigliato solo ai feticisti di certi cimeli “country” stile sigla di Walker Texas Ranger, per tutti gli altri, molto meglio dare un’occhiata su You Tube alle recenti esibizioni live del redivivo duo Zack & Tom impegnati in vibranti riletture acustiche (solo rap, armonica e chitarra, “no keyboards are used”!) di alcuni dei loro “classici” capolavori come People of the sun o Bulls on a parade.

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Voto degli utenti: 2,5/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

Ci sono 3 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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Marco_Biasio (ha votato 2 questo disco) alle 11:07 del 4 novembre 2007 ha scritto:

Davvero pessimo

Pensare che la mente di una delle più grandi band di crossover americano, quale i Rage Against The Machine, abbia prodotto questa nefandezza senza capo nè coda, mi fa inevitabilmente pensare: ma perchè? Ma a che punto siamo arrivati? Condivido in tutto e per tutto ciò che dice Simone, con un'unica differenza: io ci vado giù un po' più pesante...

fabfabfab (ha votato 3 questo disco) alle 21:14 del 9 ottobre 2008 ha scritto:

"The road i must travel" è veramente la canzone più brutta del decennio. Sentita mezz'ora fa in macchina di un caro amico. Secondo lui, Tom Morello solista è "1.000 volte meglio di De La Rocha con gli One Day As A Lion". O è pazzo il mio amico, oppure mi hanno impiantanto un distortore rotto nelle orecchie e non me ne sono accorto.

fabfabfab (ha votato 3 questo disco) alle 21:16 del 9 ottobre 2008 ha scritto:

distortore = distorsore, of course