R Recensione

8/10

Echo and the Bunnymen

Ocean Rain

Fra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’80, quasi per miracolo, Liverpool ritorna improvvisamente swinging e luccicante, una vera fucina di idee e artisti come non si vedeva dai tempi dei Fab Four: la new-wave britannica, al suo massimo splendore, vive infatti qui l’epopea della nuova pischedelia, capitanata da band come Teardop Explodes e Blue Orchids, ma soprattutto dagli inarrivabili Echo and The Bunnymen, per chi scrive i migliori del lotto.

La parabola della band di Ian McCulloch è straordinaria e decisamente originale: il gruppo è stato infatti capace, sin dal debutto, di aggiornare gli antichi vocaboli rock degli anni ’60 (evidenti i riferimenti ai Doors ed alla vocalità di Jim Morrison, così come ai Velvet Underground) agli umori ed alle sonorità degli '80s, regalando fra l’altro invenzioni melodiche fra le più avvincenti dell’epoca. Il tutto seguendo l’imprescindibile lezione dei Television, il cui impatto come noto fu molto più forte in Gran Bretagna che non negli USA: la chitarra di Verlaine, lontana dai modelli blues, rock ed hard-rock classici, così scarna, rarefatta e priva di riverbero, eppure capace di evocare in Patti Smith l'urlo di “mille uccelli”, costituì invero un riferimento cardine non solo per gli Echo, ma per tutti i nuovi ammalati di “musica visionaria”.

Ocean Rain”, quarta fatica del gruppo, è tuttavia lavoro solo in parte visionario; si tratta infatti di un disco che vira le proprie sonorità decisamente in direzione pop, facendo ampio uso di archi ed accompagnamento orchestrale, e le composizioni sono quindi decisamente più vicine alla tradizione rispetto alla musica futurista di “Heaven Up Here”. Fortunatamente, in ogni caso, la qualità non ne risente: anche qui siamo delle parti del capolavoro, o comunque ci andiamo molto vicini.

Ocean Rain” porta alle estreme conseguenze il dualismo che da sempre connota i lavori di McCollch: le liriche sono intrise di angoscia e disperazione, sprofondano nel dubbio più agghiacciante, ma le sonorità sono luminose quando non trionfanti. Al punto tale che l’appassionato waver inglese dei primi anni ’80 non esita a riconoscere negli Echo la risposta ai Joy Division. Lo strazio e l’angoscia sono gli stessi, ma la lettura degli autori è decisamente agli antipodi: infatti, laddove Ian Curtis celebra una sorta di funerale ante-mortem, McCulloch grida il proprio dolore solo in quanto è alla disperata ricerca di una via d’uscita immediata, via che trova nella luce della propria musica. Ascoltare per credere la briosa “Silver”, vivace, ricca di vigore e fiducia, trascinata da un motivetto irresistibile, il quale sembra voler controbattere a liriche che affondano nell’oscurità esistenziale più cupa. Intrisa di malinconia, seppur sempre brillante e trionfale, è anche “Yo-Yo Man”, traccia che suona maggiormente rarefatta, ed in cui il leader del gruppo regala una performance vocale impeccabile, che evoca un Jim Morrison adolescente ed ancora corroso dal dubbio.

La voce di Ian è maestosa quanto quella del leader dei Doors, ma decisamente meno epica e visionaria, forse perché ripiegata verso l’intimità della propria anima. “The Killing Moon” è altrettanto rigogliosa ed arricchita dai fraseggi degli archi, ed il suo ritornello è da annoverare fra gli “hooks” indimenticabili che la Liverpool rock ha prodotto dai Beatles in avanti. Imperdibili pure “Seven Seas”, forse il capolavoro “pop” della carriera degli Echo, e soprattutto la conclusiva title-track, canzone più articolata rispetto alla media del disco, suddivisa in diverse sezioni contese fra impennate melodico-emotive e squarci di psichedelia morbidissima e pura: tanto che l’uragano evocato dal testo sembra proprio prendere forma fra le note di questa meraviglia.

V Voti

Voto degli utenti: 8,2/10 in media su 14 voti.
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Cas 8/10

C Commenti

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SamJack (ha votato 8 questo disco) alle 16:33 del 30 ottobre 2009 ha scritto:

un piccolo grande mondo da (ri)scoprire.....

benoitbrisefer (ha votato 8 questo disco) alle 18:29 del 30 ottobre 2009 ha scritto:

I Bunnymen il loro momento "dark" l'hanno avuto con Heave Up Here; mi ricordo ancora di una vecchissima recensione di Rockerilla che li salutava con gli eredi diretti dei Joy Division ormai orfani di Ian Curtis. Poi l'interlocutorio Porcupine (ma anche lì non mancano alcuni brani memorabili: su tutti a mio parere Higher Hell) e la svolta barocco-pop di Ocean Rain. Molti allora storsero la bocca, eppure c'è una classe, una tale falicità di scrittura, ceselli di chitarra ed una vocalità talvolta eccessivamente melodrammatica ma sempre straordinaria ed il disco a me allora era piaciuto e nel corso degli anni non ho troppo cambiato idea. Non capolavoro, ma ultima bella prova dei Bunnymen prima del temporaneo scioglimento e di quel triste epilogo che è stato l'omonimo quinto disco.

REBBY alle 18:36 del 30 ottobre 2009 ha scritto:

E di quello uscito quest'anno (The fountain) Benoit che ne pensi?

benoitbrisefer (ha votato 8 questo disco) alle 19:01 del 30 ottobre 2009 ha scritto:

Sulla produzione bunnymeniana post reunion il giudizio è in generale condizionato da considerazioni ambivalenti: da una parte l'amore sviscerato che ho per McCulloch e soci, dall'altro la convinzione che quello che doveva essere detto è stato fatto con i primi 4 dischi. Sintetizzando direi capolavori non ne hanno più fatti e che bisogna distinguere fra i dischi che contengono un buon numero di brani convincenti e anche entusiasmanti (Evergreen, What are you going..) e quelli che invece appaiono troppo appiattiti e hanno pochi guizzi (Flowers soprattutto un po' meglio Siberia). The Fountain (che ammetto ho sentito ancora poche volte) mi sembra che parta bene con incisività e immediatezza ma che poi finisca alla lunga per perdersi. Comunque lo risentirò meglio. Resto infine dell'avviso che la cosa migliore che i Bunnymen hanno pubblicato dopo il ritorno insieme è il live a Liverpool (grande nebbiosa copertina) dove anche alcune loffie canzoni da Flowers acquistano una loro grintosa dignità.

benoitbrisefer (ha votato 8 questo disco) alle 19:39 del 30 ottobre 2009 ha scritto:

Addenda

Ah! Dimenticavo... una certa leggerezza pop che contraddistingue alcuni dei brani di Fountain richiamano un po' l'esperienza Ocean Rain (fra tutti Shroud of Turin)

target (ha votato 8 questo disco) alle 16:02 del 31 ottobre 2009 ha scritto:

Bella Francè! Personalmente gli Echo li preferisco qui che negli album precedenti. Il disco guarda avanti e difatti lascia più di qualche traccia nei '90 inglesi (non penso solo a Verve o ai primi Coldplay o a esperienze minori come quella dei Geneva, ma anche ai Pulp più noir tra "Separations", "His'n'hers" e "This is hardcore": pezzi scuri e melodrammatici come "Nocturnal me", "The yo yo man" "The killing moon" hanno lasciato un segno sicuro nel songwriting di Cocker & Co, e pure nel suo atteggiamento attoriale, la-la-la inclusi). (McCulloch e Jarvis migliori la-la-isti in assoluto? ). C'è qualche pezzo fuori sesto ("Thorn of crowns"), ma il disco è una perla pop da tenersi stretta.

FrancescoB, autore, alle 20:14 del 31 ottobre 2009 ha scritto:

Grazie Target! Condivido ciò che hai scritto sulle caratteristiche del disco, anche se ancora oggi io lo considero il mio preferito nell'ambito della discografia della band...magari alla pari con "Heaven Up Here" dai!

sarah (ha votato 9 questo disco) alle 20:39 del 31 ottobre 2009 ha scritto:

Disco molto bello e recensione all'altezza, davvero. Interessante anche il parallelo coi television.

DucaViola (ha votato 9 questo disco) alle 9:38 del 28 febbraio 2010 ha scritto:

Album fantastico e non datato che ancora ascolto con immenso piacere. Loro furono uno dei miei miti anni 80.

4AS (ha votato 8 questo disco) alle 17:13 del 20 maggio 2010 ha scritto:

Molto bello, le orchestrazioni hanno dato nuovo respiro al loro sound dopo i primi lavori più scuri, chiaramente legati al panorama dark wave. Questo è il loro migliore disco "pop", ma l'apice della loro discografia rimane "Crocodiles".

obrobio (ha votato 9 questo disco) alle 11:42 del 2 luglio 2010 ha scritto:

Disco davvero bellissimo, anche se forse prediligo Heaven Up Here, tanto cupo e nero quanto Ocean Rain è luminoso e cangiante.

La chiara intenzione di Mac all'epoca era realizzare il disco pop orchestrato più bello di sempre, e forse ci è andato vicino.

Comunque considero capolavori tutti e 4 i primi album dei Bunnymen.

Utente non più registrato alle 18:12 del 27 agosto 2012 ha scritto:

Gruppo e disco che per anni ho avuto davanti senza prendere veramente in considerazione, ma quando mi sono deciso a farlo ne sono rimasto piacevolmente colpito.