Slayer
South of Heaven
A causa della fama enorme raggiunta dal suo predecessore, il celeberrimo Reign In Blood (1986), autentica pietra miliare del metal degli anni ottanta, il qui recensito South Of Heaven, uscito due anni dopo, è sempre stato messo in penombra. Effettivamente, ripetere il successo planetario di un album perfetto come quello era davvero difficile, se non impossibile, per gli Slayer, i quali hanno deciso di non produrre un album-fotocopia, che sarebbe stata la via più facile. Al contrario, i nostri quattro devastatori sonici capitanati da Tom Araya hanno deciso di cambiare rotta, sperimentando con ritmiche ed atmosfere differenti e mettendo un po in secondo piano la furia annichilente ed estrema di Reign In Blood. Come quasi sempre accade, quando un gruppo decide di cambiare rotta, il risultato finale non è mai uno dei migliori, e così accade anche a South Of Heaven, il quale, sebbene sia un ottimo album, presenta qualche episodio non allaltezza dei livelli qualitativi raggiunti dai nostri. I fan più oltranzisti degli Slayer, inoltre, hanno sempre messo lalbum in cattiva luce, criticandolo proprio per il suo eccessivo indugiare su tempi medio-lenti, più groovy e meno convulsi rispetto a Reign In Blood, ma comè noto gli ascoltatori di heavy metal più conservatori non sono mai molto aperti verso i cambi di rotta e le sperimentazioni.
Ma andiamo con ordine. Il quarto capitolo della carriera del gruppo di Los Angeles presenta 10 episodi che mostrano una certa evoluzione dal punto di vista delle strutture ritmiche e chitarristiche rispetto al passato. I brani si fanno più articolati e complessi, nonché anche leggermente più lunghi rispetto a Reign In Blood, e lasciano più spazio al lato atmosferico del loro sound, come si evince dallintroduzione della bellissima title-track, mid-tempo che cresce dintensità col passare dei minuti, o dallarpeggio spettrale e suggestivo della conclusiva Spill The Blood. Il tutto, però, senza tradire lattitudine distruttiva e selvaggia che da sempre contraddistingue la musica degli Slayer. Brani come Silent Scream e Ghosts Of War sono infatti autentiche schegge di violenza thrash metal che pochi gruppi possono vantare nel proprio repertorio musicale.
Altri brani, invece, indugiano più su tempi medi e groovy come la tetra Mandatory Suicide, la già menzionata Spill The Blood o la più cadenzata Live Undead (che esplode nel finale in un tiratissimo up-tempo degno delle sferzate ritmiche del recente passato). Troviamo anche una cover dei Judas Priest, Dissident Aggressor, reinterpretata in maniera assolutamente personale e convincente.
Non tutti i brani però si lasciano ricordare a lungo andare: in alcuni episodi (Read Between The Lies e Cleanse The Soul in particolare) manca quel riff, quel passaggio semplice ma efficace che simprime nella mente, risultando così anonimi pur essendo efferati e distruttivi al punto giusto. Il difetto principale di South Of Heaven è la presenza di alcuni pezzi di troppo che sanno di riempitivo. Forse sarebbe stato meglio ridurre la durata del cd, di per sé già non elevatissima (37 minuti scarsi), e selezionare solo i brani davvero validi. Tralasciando questa pecca, la qualità del disco resta comunque piuttosto elevata; la tensione e il senso di angoscia e paura che da sempre emerge dalle composizioni degli Slayer ci sono tutti. Lalbum sa regalare momenti di grande emozione, e si lascia ascoltare e riascoltare più volte, senza mai annoiare.
In definitiva, si potrebbe definire South Of Heaven come il disco dimenticato degli Slayer. Un lavoro da riscoprire per tutti i seguaci di Tom Araya e compagni, per gli altri un ascolto è dobbligo. Un album che, seppur non sia il migliore della band, costituisce una tappa fondamentale del loro processo evolutivo che li porterà ad episodi come Seasons In The Abyss e Divine Intervention, del tutto diversi rispetto ai loro primi grezzi lavori.
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