Kanye West
The College Dropout
"The College Dropout" o la perfezione dell'hip-hop. Il primo album di quel genio egocentrico di Kanye West è anche, con tutta probabilità, il suo lavoro più maturo, completo, brillante e tante altre belle cose; un album che parla dritto al cuore degli uomini i dubbi, le ansie, le paranoie, le speranze, le droghe, le piccole convinzioni rifugge quasi in toto cliché tipici dell'hip-hop su denaro, potere, donne, e si erge come monolite d'ebano inscalfibile e massiccio per i generi d'appartenenza.
Siamo nell'Ottobre del 2003: l'esordio di West è quasi pronto per essere pubblicato. Ma accade l'imprevisto: l'auto sbanda, Kanye West sbanda, la mascella sbanda. Lungo periodo di convalescenza: frattura scomposta. Passano le settimane, ma il nostro non si perde d'animo: registra l'intera "Through The Wire" con la bocca sfigurata e la perla è fatta: hit double-face, da una parte West che pronuncia con gonfiore attraverso il filo metallico che sostiene la mascella "They can't stop me from rappin, can they?/I spit it through the wire, man/If this ain't dedication I don't know what is, man/Listen, first of all I want to thank you for your support", dall'altra la voce alterata della bellissima Chaka Khan sui samples della sua "Through The Fire" che segue il nostro con tremolii acuti. Chapeau. E il fondo ci riporta alla cima: a ciò che chiede l'"Intro" dell'album fare qualcosa di bello per i ragazzi, qualcosa che li faccia saltare, qualcosa da cantare al diploma Kanye risponde subito con disarmante facilità "Oh yeah, I got the perfect song for the kids to sing" e parte la festa di "We Don't Care": trombette pop 80s, mood hip-hop scanzonato veeery old-school, coro bianco sullo sfondo a parlare di droga ("Drug dealing just to get by/Stack ya money till it gets sky high") e West ha vinto ancora. Ma poi si fa sul serio: le chitarre al falò e al tramonto in "All Falls Down", l'r'n'b invernalissima nell'epifania degli ultimi 90s che trova ricordo in "Spaceship", le due facce perfettamente soul di "Slow Jamz", tra lentume cullante di Jamie Foxx e Kanye West nella prima parte e metriche velocissime di Twista nella seconda, sono solo alcuni dei capolavori di questo "The College Dropout".
E nulla è stato ancora detto: la batteria di baritoni che in "Jesus Walks" svela il lato più religioso di West, ancora l'r'n'b per nostalgici niggas cresciuti nei '90 ("Never Let Me Down") o ancora il beat imponente messo a ripetizione in "Get 'Em High" rincorso da West, Talib Kweli e Common. Più si va avanti in "The College Dropout", in questo abbandono del college, più inizia a definirsi lo stile che sarà di Kanye West: il fumo che avvolge il sampling dietro le quinte, lo smokin' weed che pervade ogni lirica, ogni strofa, il gusto pienamente old vecchia maniera che consacra ogni frase di synth, ogni base analogica: tutto è al posto giusto, tanto nuovo e moderno nella scrittura delle canzoni quanto vintage e passato nella scelta dei suoni. Diventa chiaro, con il susseguirsi dei pezzi, che si ha davanti l'r'n'b delle nuove decadi, qualcosa di straordinariamente brillante che costituirà la base di partenza per la nuova cerchia della black-music. Tutti attorno a Kanye West, dunque, da Jay-Z a Common passando per Dwele, Jamie Foxx, Lil Wayne, Mos Def... tutti in piedi ad assistere il miracolo che verrà ora e negli anni successivi. Perché come non chiamare prodigi pezzi del calibro di "Two Words", "Family Business" e "Last Call", code impeccabili di questo "The College Dropout": il groove potentissimo che emerge dal groviglio di archi della prima, l'ombra di Tupac nella base embrione di "Family Business" (che riprende l'idea musicale, ma qui meno aggressiva e più spirituale, di "Ambitionz Az a Ridah"), tutta dedicata all'incarcerazione di un membro della famiglia-West, e l'odissea verbale di "Last Call", monologo autobiografico di West custodito tra fiati d'ottone e samples in loop.
Un album che è tante cose belle, dicevamo.
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