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R Recensione

8/10

Saint Etienne

London Conversations: The Best of Saint Etienne

Con quel nome preso a prestito da una squadra di calcio francese, si sono sempre ammantati di un’aria molto transalpina, chic e sportiva allo stesso tempo, ma in realtà i Saint Etienne sono da quasi vent’anni l’incarnazione pop dello spirito britannico. I loro sette dischi, a partire dal lontano “Foxbase Alpha” (1991) fino all’ultimo “Tales From Turnpike House” (2005), sono stati la declinazione in chiave elettronica più riconoscibile (e riconosciuta) del brit-pop, e questo Best Of dal titolo indubitabilmente inglese rende pieno merito a una band tanto osannata in patria quanto poco frequentata alle nostre latitudini. L’occasione di una meritevolissima (ri)scoperta.

I due cd, ciascuno organizzato al proprio interno con ordinazione cronologica, per un totale di 35 canzoni, forniscono uno spettro piuttosto vasto delle mille proteiformi metamorfosi di cui sono capaci Pete Wiggs e Bob Stanley, le due menti pensanti del trio. Che Sarah Cracknell, la deliziosa voce di cristallo dei Saint Etienne, non facesse parte sin da subito del progetto lo si intuisce dal pezzo di apertura, una “Only Love Can Break Your Heart” che da classico youngiano diventa potente sfogo da pista scombussolato dai vocalismi di Moira Lambert – che alla Cracknell poi cederà il passo. Unica cover della compilation, lascia capire perché Wiggs/Stanley siano stati per anni tra gli autori di remix più ricercati in Inghilterra nell’ambito pop-dance. Impeccabili.

Pezzo dopo pezzo si sdipana davanti agli occhi una Londra cangiante, che assume preferibilmente colori vivaci, da cieli sereni che si riflettono sulle finestre dei palazzi, da vetrine di negozi viste in corsa, da interni stylish e marciapiedi affollati. La musica dei Saint Etienne ha sempre rappresentato il lato elettrico, sgargiante, solare, terso, glamour della 'britsh way of life': c’è spazio per una lounge urbana tra jazz e tropicalia (“Nothing Can Stop Us”, “Goodnight Jack”, “Hug My Soul”), per una eurodance primi Novanta à la Pet Shop Boys (“He’s On The Phone”, “Who Do You Think You Are”, i passaggi trance di “Join Our Club”), per contaminazioni rap e spinte french touch (“Filthy”, “Soft Like Me”, “Teenage Winter”) che in realtà occhieggiano a un fumettismo sixties color pastello quasi gainsbourghiano, assecondato dal timbro vocale della Cracknell e dai suoi testi intelligenti e curiosi, immersi fino all’imbarazzo nella quotidianità più slabbrata (se qualcuno ha presente i Black Box Recorder - progetto di Luke Haines, ex The Auteurs - e non conosce i Saint Etienne, ora sa come riportare i primi alla casa madre).

Ma c’è anche una Londra più scura, color mattone e pioggia, che serpeggia tra i due cd, infiltrandosi tra le ballate malinconiche, autentici gioielli pop che decantano le capacità melodiche del trio: “Avenue” è un piccolo classico della desolazione e della memoria («Ohhh, young heart», con quella voce finissima...), “Hobart Paving” una vecchia romanza sfacciatamente sentimentale, “The Bad Photographer” un ghignante spy-folk un po’ Belle & Sebastian. Venature scure si infiltrano anche in certe esplorazioni elettroniche: “Burnt Out Car”, “Heart Failed (In The Back Of A Taxi)” e “This Is Tomorrow” sembrano citare i New Order ibizechi o, meglio ancora, quelli sinistri di “Republic”.

E poi c’è il lato più sperimentale nei brani para-ambient dall’incerto “Sound Of Water” (“Boy Is Crying”, “How We Used To Live”), ci sono le sfumature techno-folk di un disco come “Tiger Bay” (il loro capolavoro? “Pale Movie”, deliziosa house latina, farebbe dire di sì), c’è il dream pop di “Spring”, ci sono gli episodi iper-effettati di “Finisterre” (la title-track e “Shower Scene”). E tutta un’elettronica mescidata nei suoni ma semplicissima negli intrecci armonici che a tratti stupisce per la capacità di restare impressa nella pelle e nel sorriso dopo un solo ascolto: “Sylvie” e “Action” (come costruire una canzone su tre accordi senza darlo a vedere) sono forse le punte più spettacolari di una carriera che ha saputo erigersi sul pop senza mai essere banale.

Il meglio dei Saint Etienne è il meglio di molto altro: con poche eccezioni, verrebbe da dire, è il meglio di vent’anni di Inghilterra synth-pop. Ed è il punto di partenza di innumerevoli nomi ben più noti (Air, Daft Punk, Sebastien Tellier, per dirne alcuni) che a questi maestri in ombra dovrebbero riconoscenza infinita. (Ri)Scopriteli.

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C Commenti

Ci sono 2 commenti. Partecipa anche tu alla discussione!
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Dr.Paul (ha votato 8 questo disco) alle 21:06 del 22 febbraio 2009 ha scritto:

una compilation fondamentale x chi non ha voglia di sbattersi con i vari cd della discografia, esiste una versione cd+dvd sulla quale metterò le mani a breve! (target a me piace anche sound of water)

target, autore, alle 21:35 del 22 febbraio 2009 ha scritto:

E' bello e incerto! C'è da dire, comunque, che questa non è la prima raccolta antologica dei Saint Etienne. Anche "Smash the system" (2001) non era male, per quanto più sbilanciata su cose fine novanta.