St. Germain
Tourist
Parlando di grandi sistemi, possiamo affermare senza paura di cadere in errore che il jazz sia stato, assieme all’elettronica, una delle innovazioni musicali preminenti dello scorso secolo. A corollario di questa affermazione possiamo aggiungere che il mix dei due succitati filoni ha dato vita ad un prodotto imprevisto ed entusiasmante, ben rappresentato dal disco di Ludovic Navarre, in arte St. Germain. Quella che io considero la migliore etichetta di jazz, la Blue Note, si prese la briga, nel 2000, di dare alle stampe un pilastro di pregevole fattura musicale, in grado di influenzare negli anni a venire frotte di musicisti e fissando nel tempo e nello spazio ciò che viene definito, a ragione, nu jazz, da altri impropriamente chiamato acid jazz. 4/4, brush a perdifiato, inserti di sax e pianoforte, contaminazioni electro e tanto sentimento, senza dimenticare un certo mood patinato, giusto per rivendicare il fatto che questa è musica d’alto bordo, destinata a club d’élite dalla clientela raffinata e altolocata.
“Tourist” comincia con l’incessante batteria campionata di “Rose Rouge”, da cui spiccano qua e là monotoni ma definiti samples vocali provenienti da “Live At Montreux” di Marlena Shaw, dando vita ad un jazz rapido e coinvolgente, perfetto per una cena a due prima del bollente dopocena. Una forma rivisitata di cool jazz – termine caro ai detrattori di Dave Brubeck e Paul Desmond – arriva solo con “Montego Bay Spleen” grazie alla deliziosa chitarra di Ernest Ranglin. È dunque il turno del pezzo house per eccellenza, “So Flute”, interamente performato per flauto (Edouard Labor) e pianoforte (Alexandre Destrez), con un accompagnamento elettronico degno della migliore tradizione parigina: e infatti il timoniere Navarre mostra di saperci fare alla grande con mixer e sequencer, automazioni e filtri. È grazie a tracce come questa che un’intera generazione di giovani DJ ha deciso di abbandonare i giradischi per cimentarsi nella produzione musicale homemade. Arriva poi “Land Of…”, quasi come una colonna sonora di un poliziesco francese, con un sax divertentissimo e una base ritmica che ricorda fortemente il big beat e il trip hop inglesi.
“Latin Note”, esplicita sin dal titolo, si presenta invece come un pezzo houseggiante godibile e travolgente, merito delle mani di Idrissa Diop al tamburo parlante e di un vibrafono infuocato. Il capolavoro di “Tourist” arriva però con “Sure Thing”, sensazionale esperienza nu jazz che mischia genialmente campioni di “Harry’s Philosophy” di Miles Davis e John Lee Hooker con quel french touch che in pochi sanno rendere così intenso ed appetitoso. A seguire ancora house music con “Pont Des Arts”, stavolta ordinata e lucida come quella di Kevin Yost o della Irma Records. La tromba, suonata da Pascal Ohse, fa finalmente la sua comparsa nella scurissima “La Goutte D’Or”, un meraviglioso viaggio negli anfratti del suono digitale, del percussivismo ossessivo, del jazz più misterioso e affascinante: un perfetto bilanciamento di variazioni, poche, e potenza sonora, tanta. Infine troviamo “What You Think About…”, allegro divertissement col baritono Claudio Cacao de Qeiroz che interroga l’ascoltatore sul grado qualitativo e innovativo del prodotto confezionato. Domanda retorica, ovviamente.
Sono ormai undici anni che gli estimatori attendono una nuova prova discografica di St Germain, il quale, dopo aver prodotto nel 2003 “Memento” di Soel, sembra essersi dileguato nel vuoto. Si continua così ad attendere ciò che solo dai mini appartementi di Parigi può giungere: un suono bello, fascinoso, sensuale, quindi europeo.
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