Animatronic
REC
Nella fase immediatamente successiva alla scrittura e alla registrazione di quelli che sarebbero divenuti i due fortunati volumi di Endkadenz, i Verdena rivelarono di aver passato mesi interi nello studio di loro proprietà (lormai leggendaria Henhouse) a suonare a getto continuo letteralmente qualunque cosa passasse loro per la mente, in una sorta di jam session permanente che fruttò loro ore ed ore di materiale inedito, mai scritto e in quanto tale virtualmente irriproducibile. Non so se i fratelli Ferrari e Roberta Sammarelli abbiano avuto la lungimiranza di non lasciare macerare nellindifferenza quei nastri, ma la primissima impressione a caldo che ho avuto ascoltando lesordio degli Animatronic è stata precisamente di educata sorpresa: stai a vedere che di quel materiale informe, accumulatosi a dismisura in archivi dalla capienza neilyounghiana, cominceremo a ritrovare traccia a partire da questo inaspettato full length. Time will tell, come direbbero quelli bravi: quello che intanto rimane da fare è affrontare, finanche di petto, il frutto della fuitina creativa consumata tra Luca Ferrari (fresco di ritorno dalla parentesi Dunk coi fratelli Giuradei e Carmelo Pipitone), lomonimo Worm Terzi (qui chitarrista in gran spolvero tecnico) e il percussionista Nico Atzori (prestato occasionalmente al basso).
Di REC, saggiamente catturato in analogico e in rigorosa presa diretta, si possono dire uninfinità di cose, ma non che si tratti di unespressione artistica insincera. È anzi levidente godimento estetico che linedito power trio esprime nello sciogliere i nodi delle proprie trame strumentali, per certi versi, a rendere degna lesperienza dellascolto: un continuo martellamento sensoriale che, sulla scorta di quei piccoli classici novantiani voluttuosi cannibali di ogni sfumatura del rock chitarristico loro coevo e predecessore, eleva al contempo lo status del musicista e dellascoltatore. In cinquanta minuti abbondanti di scorribande sonore il gruppo mette in bella mostra eclettismo stilistico e libertà espressiva: la grana rustica della registrazione (dietro al mixer laltro Ferrari, Alberto) esalta la spinta degli episodi più tellurici, come linaugurale Teddy Red & Jenny Ride (King Buzzo che a metà setlist accenna ad un classico di Scofield, mentre sullo sfondo Dave Mustaine si regala uno dei suoi soli migliori), il rutilante sludge metal di Crossing (con svisate free jazz di un lupo solitario in ottone) e le ruvide cerebralità post-math rock della conclusiva Tronofobia (eccellente il supporto ritmico di Ferrari jr.), raggiungendo probabilmente lequilibrio perfetto nei bizantinismi di una Ghostrek il cui sognante e flangerato melodismo neoprog rimane da subito impresso.
Tutto è bene quel che è contingentato in spazi e tempi ben definiti. Nel momento in cui le maglie cominciano ad allargarsi e le direzioni a biforcarsi incontrollabilmente, iniziano a proliferare i problemi. Terzi, come tutti i chitarristi eccezionalmente dotati e capaci di incrociare tra loro senza apparente fatica generi ed epoche, in più di unoccasione dà mostra di un certo preziosismo esecutivo, a volte innocuo (Tin Tin), altre semplicemente volitivo (apertura logorroica e rifiniture successive in tapping di 6SBARRE S.A.S., di cui si apprezza veramente solo lenergica e ludica sezione centrale funky) ed altre ancora, invece, piuttosto tedioso (lo straripante shredding contro cui incoccia la primusiana Zabran). La scrittura non è sempre funzionale nemmeno sotto il profilo armonico, dove, quando non impera un pirotecnico ed ormai vecchieggiante senso del crossover (Fl1pper#), spesso si intrufolano ingombranti reperti del tech metal che fu (Fuori Di Nastro) e citazioni pop stravolte dal virtuosismo (Fanki!?). Dopo un po, insomma, il divertimento iniziale dellascolto tende ad evaporare: e questo senza contare, peraltro, che sul terreno generico del rock strumentale per quanto dotato di superiori ambizioni formazioni come Globetrotter e Sdang!, pur non esenti da difetti, hanno espresso risultati generalmente migliori e di gran lunga più coerenti.
Più che il risultato finale, vale la curiosità dellapproccio. Unoccasione mezza sprecata.
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