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R Recensione

7/10

Malika Ayane

Domino

Diceva Malika di aver voluto produrre un disco pop e di essersi trovata tra le mani un prodotto che la critica nel suo complesso, non solo le sue frange meno avvedute, non ha esitato a definire “difficile”, “sperimentale”, la fase matura di una cantautrice colta: cortocircuito mica male, specie se il processo creativo – dal rilascio del bel “Naïf” e conseguente tour in avanti – è durato ben tre anni. Tre anni intensi, intervallati da una serie di impegnativi progetti collaterali (fra tutti l’interpretazione della protagonista nell’Evita di Massimo Romeo Piparo, musical portato nei teatri italiani per 70 date complessive tra novembre 2016 e gennaio 2017), che hanno costretto Malika e il suo straordinario team di supporto – Axel Reinemer e Stefan Leisering dei Jazzanova agli arrangiamenti, Pacifico alla scrittura – a lavorare a singhiozzo sui pezzi del quinto “Domino”, registrato in sessioni di dieci giorni lungo sei mesi.

Il senso del titolo si riassume nell’idea, grafica ancor prima che metaforica (splendida l’elaborazione artistica sussunta nella cover e nel libretto interno), di un insieme di tessere bifronti i cui lati esprimono tendenzialmente concetti divergenti messi a contatto, a loro volta, con altri simili set chiusi: questa combinabilità puramente matematica è poi soggetta all’azione del fato, della casualità, del rimescolamento arbitrario che genera ulteriori e infinite potenzialità di lettura. Così anche gli uomini, eternamente cangianti, impossibili da leggere unidirezionalmente (Godard docet). Basterebbe questo singolare approccio per testimoniare la grande crescita, prima ancora che dell’interprete, della Malika Ayane artigiana della canzone, a cavalcioni fra tradizione nazionalpopolare, attrazioni stilistiche oblique (il modo vellutato di modulare sillabe e suoni ricorda a più riprese l’Ornella Vanoni degli anni ’70, si ascolti il raffinatissimo lento d’apertura “Nodi”) e manipolazioni elettroniche. Nell’anno della definitiva maturazione di Francesca Michielin, un singolo come “Stracciabudella” – una cantilena french touch costruita su un beat metallico che evolve in un ritornello di grande impatto – è più che una semplice coincidenza: alla ventitreenne di Bassano, tuttavia, manca ancora quel pizzico di incoscienza che le consenta di affiancargli due pezzi d’umore quasi completamente opposto, come i languidi bassi lounge di “Sogni Tra I Capelli” (una melodia così discreta e volatile da sembrare quasi impalpabile: scelta davvero anticonvenzionale) e la magnetica estetica Matia Bazar di “Quanto Dura Un’Ora” (con epico, splendido ritornello in crescendo).

È ancora troppo poco per poter parlare, a ragione, di un prodotto fuori dagli schemi, anche perché non mancano un paio di scivoloni pregiudiziali (l’appunto diaristico di “Non Usciamo” che ricicla nel refrain il giro di accordi portante della vecchia “E Se Poi”, i bleep che luccicano invano sulla scontata piano ballad di “Nobody Knows”). È altresì palese, tuttavia, che il percorso di crescita di Malika si muove su traiettorie che coincidono solo in minima parte con quelle dell’italo-mainstream. Tre le tappe chiave che rendono particolarmente gratificante l’ascolto di “Domino”: il girotondo electro di “Per Abitudine” (“Non c’è da ridere / Però mi va / Inverosimile / Cordialità / Quant’è difficile / Ci pensi mai / Osare e chiedere / Tu come stai”), il recital noir-blues di “Imprendibile” (forse la migliore interpretazione dell’intero disco) e la classica pigrizia soulish di “Vestito Da Domenica” (con la defoliazione progressiva dei layer di suono che, in coda, espone la struttura nuda del pezzo).

Dove la strategia incontra la sincerità: brava Malika, bravi tutti.

V Voti

Voto degli utenti: 7/10 in media su 1 voto.
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