Neon Indian
Psychic Chasms
Alcuni lo chiamano glo-fi, altri chill-wave, altri dream-beat, altri ancora, sulle pagine di blog più o meno celebri, hanno aperto sondaggi ad hoc per stabilire il nome più adatto, mentre i musicofili più tecnici cercano di riportarlo all’interno dell’hypnagogic pop, nuovo genere individuato da David Keenan sulle pagine del Wire di luglio e comprendente una serie di artisti nordamericani (James Ferraro, Zola Jesus, Ducktails, Vodka Soap) dediti a un ripescaggio tra New Age ed elettronica anni ’80 dai tratti psichedelici e sfumati. Era prevedibile che il mezzo internettiano avrebbe scatenato tali bagarre ai primi accenni di una nuova tendenza musicale, ma forse era meno ovvio che ciò di cui stiamo parlando (il glo-fi ecc. ecc.) potesse muovere interessi così compatti partendo, a ben vedere, da basi assai underground. Il sostegno di alcune webzine ha aiutato. E l’hype, ora, è montante.
La caratteristica principale dei cultori del genere (Washed Out, Memory Tapes, Small Black, Toro Y Moi, oltre a Neon Indian) consiste in un ripescaggio su basi lo-fi dell’immaginario synth-pop anni ottanta, filtrato attraverso i colorismi artificiali dei videogame e inzuppata in un denso acido nostalgico. Già, perché la giovine età di questi artisti, nati per lo più nella seconda metà degli anni ’80, fa sì che il loro revival eighties, diversamente da tanti altri esplosi di recente, coincida con un ripescaggio dell’infanzia e delle sue fantasie, da cui una posa molto naif, un’aria di leggerezza vacanziera ed estiva, il ritorno alla musicassetta come veicolo musicale vintage ed effimero per eccellenza, e infine una sporcizia nel suono molto accentuata, quasi a mimare la nebulosità dei ricordi. Il risultato è qualcosa di simile a un nastro inceppato di “In Ghost Colours” dei Cut Copy o agli Hot Chip suonati da uno stereo che frigge, ma soprattutto all’estetica ‘80 (dai Commodor 64 alle camice hawaiane, dalle sale giochi alle riviste) rivissuta in musica con un piglio da amarcord.
Alan Palomo, texano di origini messicane e anima dei Neon Indian, appare come uno degli artisti di punta del genere, non solo perché è tra i primi a proporsi sulla lunga distanza, ma anche perché “Psychic Chasms” può ben essere considerato un risultato archetipico dell’intero movimento, di cui incarna la poetica sin dal vivace collage della copertina. Le sue dodici canzoni si muovono al passo di beat cicciosi e di uno stillicidio di effetti da videogioco (Palomo: «siamo la prima generazione la cui immaginazione è stata dettata dai videogame; da ragazzino erano la mia finestra sulla vita») che si sovrappongono e si catapultano sulle melodie come laser di navicelle spaziali. La voce di Palomo, quando compare, è sommersa da sognanti fasciature italo disco, mentre strati continui di jingle e motivetti da Nintendo si arzigogolano sopra tastiere ondivaghe, le cui frequenze vanno e vengono in continuazione. Tutto è infradiciato in un vago riverbero, come ricordi intermittenti, tanto che l’impressione è di sentire registrazioni live di sigle televisive di trent’anni fa (“Laughing Gas”), con la drum machine e i bassi che coprono attraverso il loro eco, a flussi alterni, i synth.
Pezzi killer ce ne sono a iosa, spesso spalleggiati da chitarre stra-effettate (“Deadbeat Summer”, “Terminally Chill”), mentre una gluma plasticosa e blobbosa ricopre tutto, come nel dream pop elettrificato di “6669 (I Don’t Know If You Know)”. Manipolazioni sul Korg e sverniciature da spiaggia (“Local Joke”) abbondano, tra incursioni vistose nell’8-bit computeristico più nerd (“Should Have Taken Acid With You”, cioè i Crystal Castles in una pausa ludica) e ancheggi funky degni dei Daft Punk migliori (“Ephemeral Artery”). Il disco è sapiente, e si presta, più che al dancefloor, a fughe memoriali solitarie: l’evocatività malinconica di “Mind, Drips”, nel beat massiccio e ultra-‘80, tenuto però a ritmi bassi, di fatto ‘un-danceable’, esibisce la natura tutto sommato autistica di questo genere e di una generazione già nostalgica a vent’anni.
Disco documento: da ascoltare, più che per caricarsi prima dei party più selvaggi, per immaginare distesi sul letto, alla luce del tramonto, tutti i party perduti.
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