Błoto
Erozje
Leggenda vuole che, nellagosto di due anni fa, tra le pause di un minitour estivo organizzato nel triangolo Brzeg Dolny-Łódź-Sopot, i breslaviensi EABS di cui abbiamo segnalato con entusiasmo il secondo, splendido Slavic Spirits appena lanno scorso abbiano fatto una toccata e fuga ai Maska Studio di Gdańsk, dove quattro dei loro membri (il pianista e tastierista Marek Pędziwiatr aka Latarnik, il bassista Paweł Stachowiak aka Wuja HZG, il batterista Marcin Rak aka Cancer G e il sassofonista Olaf Węgier aka Książę Saxonii) hanno dato vita ad unimprovvisata session notturna, qualcosa di alternativo e complementare alle coordinate del collettivo madre: musica fisica e rigorosa ma niente affatto cerebrale, quadrata e monolitica ma capace di notevoli incursioni melodiche, coraggiosamente meticcia ma non stereotipata, allincrocio tra visioni mitteleuropee e pulsazioni doltreoceano. Una creatura ansante e selvatica per la quale il monicker scelto, Błoto (in polacco fango), risulta quanto mai appropriato.
Pur conservando, nel profondo, un evidente spirito da jam (come da subito mette in chiaro la ghost story da notte di san Lorenzo di Kałuże), Erozje è un esordio il cui valore si misura soprattutto sulla capacità del quartetto di modellare, a partire da materiale informe o quasi, brani compiuti e conclusi in sé stessi. In questo la prima parte del lavoro (Ziemie Żyzne) infila una doppietta che ha del miracoloso: la transizione dal distonico studio ritmico jazz hop di Bagna (pare di ascoltare un downtempo di DJ Shadow in analogico) al Komeda intrappolato fra hauntologiche iterazioni pianistiche e spastici scatti swing di Czarne Ziemie è davvero mirabile. Subito dopo lo stacco di Rędziny (puntutissimo riff pianistico in 5/8, allucinazioni free jazz da thriller di genere settantiano) arriva poi la seconda parte (Ziemie Jałowe), il cui piatto forte è la staffetta centrale tra Ziemie Zdegradowane Przez Człowieka e Glina. Nella prima, il caldo sax morphiniano di Węgier viene contrappuntato dai sofisticati melismi di Pędziwiatr, per poi scomparire sommerso tra i montanti flutti onirici dei synth: synth che, del tutto bruscamente, si ritirano al ruvido irrompere della seconda (glina, polacco per argilla, nello slang di strada sta a denominare il poliziotto), un disarticolato hard-bop dalla devastante possenza ritmica che arriva ad un passo da unorgia percussionistica technoide. Dopo il diluvio, la nuova calma: significativo, e tutto sommato giusto, che sia lo struggente scandinavian cool in dissolvenza di Gleby Brunatne a chiudere la partita, almeno momentaneamente.
Anche in questa occasione produce Astigmatic: garanzia di assoluto successo.
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