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R Recensione

7/10

Egle Sommacal

Tanto Non Arriva

Egle, ancora una volta, corre da solo. Sarà anche una testa di legno – i bellunesi come lui, cosa volete, si temprano all’ombra della dolomia – ma i fatti, sissignori, gli danno ragione. La reunion della band madre, i Massimo Volume, con tanto di disco promesso dopo l’estate 2009 (sicuri?), non sembra aver scalfito di una virgola l’entusiasmo e la creatività del chitarrista che, anzi, approfitta della concomitanza degli avvenimenti per lanciare, con una certa sicurezza, il suo azzardo personale più spinto e particolare. Non (quasi) più, infatti, il fingerpicking georgico del precedente lavoro, bensì un vero e proprio ensemble di fiati alle spalle (sax tenore e contralto, tuba, bombardino, trombone) occupato di riempire i pochi vuoti lasciati dalla propria sei corde. Avete capito bene: chitarra ed ottoni. Nient’altro.  

Sapevamo ormai bene che Sommacal, se non proprio un virtuoso, aveva una certa propensione allo schizzo avveniristico da paesaggio d’Arcadia, ci si dibattesse più o meno in territori post rock, folk o marcatamente altri. Il tocco e, in generale, il mood del disco, è però nettamente improntato verso un jazz noir da colonna sonora o, in frangenti particolarmente marcati, il blues del Delta (“Becco D’Anatra” ha l’anima di Robert Johnson). Non può essere altro che un bene, visto che la sottilezza impacciata di alcuni vecchi brani viene rigirata su una fornace di grande impatto scenico, lustrata a specchio per risplendere sul metallo delle trombe (“Elefanti”) o con andature zigzaganti, plettro in una mano e pinta di birra nell’altra mentre il sole tramonta in un wild, wild West poi non così far (“Fuori Dal Bar”, affascinante).  

Sarebbe divertente, a questo punto, fare passare un sondaggio fra tutti coloro che hanno ascoltato l’album e chiedere, per ogni singolo pezzo, un’impressione a caldo. Non so cosa ne verrebbe fuori, se un grande collage d’immagini o montaggi di vecchi film seppelliti dalla polvere e dal peso del passato. Certamente, nulla di particolarmente ortodosso, ed è questo che ci piace, anche musicalmente: è di particolare effetto il ritmato arpeggiato, che scivola in un burrone di strumenti a fiato, in “Le Ragazze Hanno Sempre Ragione” (mi permetto di dissentire), come l’accoppiata “Alla Ricerca Di Un Lavoro” – “Di Nuovo Alla Ricerca Di Un Lavoro”, la prima languida ed errabonda, quasi slintiana, la seconda molto più inquieta e devastata, in coda, da un tramestio free jazz. L’ecletticità, per questo turno, è proprio di casa, ed è stupefacente saggiare con mano quante – e quali – soluzioni melodiche il ragazzo sappia ancora estrarre dalla propria compagna di viaggio, abbracciando esecuzioni più semplici e nude (“Il Tuo Lato Di Letto”), stomp waitsiani (“Albero Capovolto”, ovvero: centomila origami differenti con un solo foglietto di carta) e inversioni a U con bollino Gutbucket (“Hospital Blues”).

Se poi, da Egle Sommacal, volete sempre e comunque una “Inverno ‘85”, mettetevi il cuore in pace: tanto non arriva.

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