Beth Orton

Comfort Of Strangers

A trentasei anni, da dieci ormai sulla scena, Beth Orton ha voluto prendersi una giusta pausa e capire quale direzione prendere: quattro anni dall’ultimo Day Breaker (2002), ed ecco Comfort of Strangers. Come annunciato dalla bucolica copertina la cantautrice londinese in questo quarto lavoro “stacca le spina”, si nasconde per un po’ e riemerge allo scoperto quando l’arcobaleno taglia il cielo, quanto basta per aggiustare il tiro insomma, prendendo il sentiero giusto e lasciandosi alle spalle i numerosi incroci stilistici incontrati nel lavoro precedente.

Sicura di sé, riesce a far parlare i colori in modo intenso, smorzandoli, li distribuisce con il giusto peso (e qui va dato ampio merito a Jim O’Rourke). Ne escono 14 sussuri melodici fragili all’apparenza, ottimamente suonati e arrangiati. Ed è proprio questa la novità più piacevole: le canzoni.

Anche se non tutte azzeccate (Feral Children) quelle di Comfort of Strangers hanno tutte una storia, un lavoro e sono decisamente pop (Worm, Conceived, Shadow of a Doubt) nella migliore delle accezioni che può assumere questo termine. La docile linea vocale che si fa a tratti più cruda (Heartland Truckstop, Heart of Soul) non annoia e si adagia alle pacate sezioni ritmiche dirette con abilità da Tim Barnes (Rectify), pronta poi ad aprirsi inaspettatamente raggiante (Shopping Trolley) e completamente a suo agio nell’accostarsi al passato (Joni Mitchell, soprattutto nella titletrack). Accantonate completamente le “macchine” ha scelto la melodia e la semplicità, Beth Orton, ma l’ha fatto dall’alto della sua esperienza e dell’ampio bagaglio di sonorità che ha sperimentato nei primi tre dischi, si è circondata dei collaboratori giusti e ha prodotto un lavoro che, oltre ad essere più che piacevole ed elegantemente curato, apre una nuova ed intrigante fase della sua carriera di cantautrice (ora a tutti gli effetti tale).