R Recensione

4/10

The Fratellis

Here We Stand

Era una bella botta di vita quel Costello music con cui i Fratellis, gruppo scozzese di belle speranze, si erano presentati nel tentativo di rinverdire l’assai già cospicua corte del pop britannico. Un intreccio di power pop, fun, punk cazzerellone e semplici melodie estive e accattivanti ideali per trascorrere una delle ore più spensierate della vostra esistenza. D’altronde lungi dall’essere l’ennesima next big thing il sottoscritto era ben conscio che l’esito più probabile cui sarebbe approdata la band sarebbe stato molto probabilmente il dimenticatoio grazie a un secondo disco sicuramente meno ispirato ed effervescente.

C’è da dire che quella del sottoscritto è una condizione esistenziale perennemente votata a un pessimismo pregiudiziale, che tuttavia trova riscontro nel fatto di essere rimasto scottato troppe volte da meteore fin troppo rapide a cadere. In fondo c’era sempre una minuscola speranza che i Fratellis potessero smentirmi diventando i nuovi Supergrass o Blur dei ‘00s. Perché la speranza, si sa, è l’ultima a morire.

Alla prova dei fatti però non vi resta che lasciare ogni speranza, a voi che avrete il coraggio di avventurarvi nella selva oscura di questo Here we stand, disco che di fatto è quello che ci si poteva aspettare: mediocre, quasi uguale nella formula ma meno accattivante e dalla scrittura meno fortunata. I punti di riferimento sono sempre quelli di un brit-pop inglese semi-spericolato con qualche accento di ricerca tra i ‘60s e i ‘70s, quelli del garage bonario, del glam-rock esasperato e della melodia soffice alla Beatles.

Così se Jesus Stole My Baby aggiorna il Bowie glam al terzo millennio e brani come Lupe Brown sembrano usciti dritti dagli anni ’60 molto spesso quello che si respira di un’età gloriosa non è altro che una tenue spruzzata di un profumo quasi andato a male. Così dietro al classic rock di A heady tale è fin troppo evidente notare l’ingombrante presenza dei Supergrass, che si ritrovano anche in Mistress Mabel, brano vibrante che riesce a dare la scossa con chitarre sferzanti.

Alla stessa maniera se Look Out Sunshine! fa pensare a dei Beatles in formato minore molto spesso a farsi largo nella mente è il ricordo fin troppo spudorato dei nipotini Oasis (in Acid Jazz Singer ma anche nella ballatona Baby Doll, co-presenti in quest’ultima con Coral e Jet). A conti fatti le composizioni fin qui elencate non hanno particolari spunti perché meritino di essere ascoltate più di una volta. Diventa quindi quasi imbarazzante aggiungere che pezzi come My Friend John, Shameless e Tell Me a Lie sono decisamente poveri di contenuti, insipidi e quasi imbarazzanti. E lo sarebbe stata anche la zuccherosa ballata Milk & Money che si salva solo grazie a un’affascinante progressione strumentale che mostra quali qualità possa tirar fuori dal cilindro il gruppo.

Alla stessa maniera sorprende Stragglers Moon, in grado di spaziare tra dei Beatles stavolta davvero enfatici e convincenti, e un leggero rock psichedelico in pieno regime ‘70s che sfrutta una chitarra a metà tra Grant Lee Phillips e il Paisley Underground.

Ovviamente troppo poco per salvare baracca e burattini. La speranza è che il prossimo spettacolo sia migliore. Perché la speranza è dura a morire. Ma la vocina pessimista intanto se la ghigna.

V Voti

Voto degli utenti: 3,3/10 in media su 3 voti.
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ThirdEye 0,5/10

C Commenti

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Roberto Maniglio (ha votato 5 questo disco) alle 1:54 del 16 giugno 2009 ha scritto:

Frettoloso, superficiale, commerciale.