Van Morrison
Astral Weeks
È molto difficile staccare il lettore CD, dopo aver ascoltato Astral Weeks, senza avere in testa l’impressione di avere appena consumato un classico. Così, dopo il primo contatto, dai una ripassata al tutto e, ascolto dopo ascolto, ti rendi conto che la prima impressione era quella giusta. Van Morrison, autore di quest’opera, è un personaggio di quelli che sembrano finire nella musica rock quasi per caso, essendo molto distanti dalle tendenze dei momenti storici in cui hanno piazzato i propri capolavori. The Man, questo il nomignolo affibbiato al cantautore irlandese, proveniva in particolare da un’esperienza coi Them, gruppo legato indissolubilmente a uno scalmanato inno dal titolo Gloria che consegnò la voce particolare di Morrison ad una discreta notorietà. Ma ben presto si allontanò dal gruppo e intraprese una propria strada, testimoniata già da Blowin’ Your Mind, disco tuttavia pubblicato senza il consenso dell’autore.
Astral Weeks, invece, esce nel 1968 per la Warner, ed è suonato da uno stuolo di jazzisti di prim’ordine: oltre a Van, che suona chitarra, sax e tastiere, l’album è suonato da Richard Davis al basso, Jay Berliner alla chitarra, John Payne al flauto e al sax soprano, Warren Smith alle percussioni e al vibrafono e, per concludere, Connie Kay alla batteria. Con questa squadra Morrison può costruire come meglio non si potrebbe arrangiamenti d’effetto per le sue composizioni. E, prima dell’arrangiamento, viene proprio il momento compositivo: Van Morrison compone brani lunghi, innestati spesso su poche idee melodiche, che però costituiscono l’equivalente musicale del flusso di coscienza che egli adotta, tra l’altro, anche per i testi. Questo conferisce alle otto canzoni dell’album un carattere così intimo che, a tratti, hai paura di ferirle se le ascolti troppo. Musicalmente, a colpire è soprattutto l’efficacissima commistione tra il folk e il jazz: come il folksinger, Morrison racconta storie; come jazzista, invece, le racconta attraverso una spontaneità unica.
Il brano che apre e dà il titolo all’opera potrebbe essere una summa di tutto l’album: l’apertura è affidata ad un apparentemente scanzonato pavimento di chitarre, contrabbasso e maracas che accompagnano la voce di Van, sognante e libera; entrano poi il flauto e i violini, e lentamente la canzone sfocia in un vero e proprio delirio poetico di Morrison, perdendo di vista la struttura iniziale, pur se la canzone prosegue sulla ripetizione costante degli accordi iniziali prima di tornare sulla prima strofa e sul ritornello. Sembra la fine del pezzo, e invece no: Van continua a ripetere all’infinito le proprie declamazioni su un magico tappeto sempre più dolce e avvolto intorno alle parole del cantante, fino al finale sfumato e affidato alla chitarra acustica. Beside You è, invece, il brano più intenso del disco: l’andamento è ancora sognante, e Morrison si lascia andare ad un’interpretazione che, senza girarci troppo intorno, dà i brividi dall’inizio alla fine, a metà strada tra lo shouter nero e il tenero ubriaco che recita la propria poesia d’amore all’amata. Se dovete scegliere una canzone d’amore per acchiappare, sapete dove pescarla. Il riff che apre Sweet Thing il giro di contrabbasso e i tintinnii in sottofondo stemperano il clima, e Morrison riprende in un certo senso il discorso iniziato con la prima traccia e interrotto con il pathos della seconda. Anche stavolta, a farla da padrone assoluto è la voce di Van, ma i violini, il flauto e tutto l’arrangiamento conferiscono anche a questo brano un’aura magica che sfuma lentamente, mentre ancora stai ripetendoti in testa “oh... oh sweet thing...”.
I sette minuti di Cyprus Avenue nascono con la chitarra acustica, il contrabbasso e il vocione di Van, in un folk blues immerso in un’atmosfera serena, nella quale interrompe poi un violino che pare voler imitare, nel suo dolce strillare, la voce del cantante. Il ritmo diventa sempre più scandito, fino ai minuti finali che spazzano via il blues per diventare puro folk in delirio. Dopo questo torrente di emozioni, arriva a stemperare il clima il vigoroso jazz di The Way the Young Lovers Do, con dei fiati (e un arrangiamento, più in generale) di straordinaria fattura, che offrono il destro a Van per lasciarsi andare ad una delle sue interpretazioni più coinvolgenti. Tuttavia, a colpire ancor di più è il fatto che, pur essendo questo un brano tipicamente jazzato, un migliaio di altri elementi musicali ci finiscono dentro, attingendo tanto al folk quanto alla musica più nera. La sterminata Madame George (poco meno di dieci minuti) parte come una confessione tenera e pacata (ma quanti caspita di giri di basso memorabili ci sono in questo album?), con tenere sviolinate a fare da contraltare alle immagini disegnate da Van. Dall’ottavo minuto in poi, inoltre, il brano svolta verso un folk jazz che, a tratti, può far sentire elementi della (magnifica) terra d’origine del cantautore, l’Irlanda. Ballerina è un’altra canzone nel tipico stile del disco: romantica quanto basta (sempre nel significato tutto particolare di Van), si apre in maniera più scarna per proseguire poi con tocchi di vibrafono, violino e anche mandolino fino alla conclusione ancora una volta affidata al fade-out. La tenera e veloce Slim Slow Slider mette la parola fine all’opera nella maniera migliore: ennesima interpretazione anima e corpo da parte di Van, che si lascia andare a qualche accenno di sorriso, stupendo flauto in sottofondo, basso come sempre perfetto e, soprattutto, un sax soprano che sembra voler cantare dietro a Morrison.
Quando finisce anche questo brano, il disco rallenta fino a fermarsi del tutto. Lo guardi un paio di volte, e ti rendi conto che non puoi risentirlo di nuovo: bisogna andare a studiare, a lavorare, a cambiare il pannolino, a prendere la ragazza, a dormire, a vivere. Poi, però, ti accorgi che qualcosa ti mancherebbe se provassi a rompere l’incantesimo anche solo per un attimo. E allora ti ritrovi a studiare con Astral Weeks in sottofondo, oppure te lo infili in macchina, provi a cambiare pannolini canticchiando Sweet Thing, regali Beside You alla ragazza... o forse, più semplicemente, te lo riascolti. Tanto il tempo per il resto alla fine lo si trova sempre.
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