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R Recensione

7,5/10

Ghost Funk Orchestra

A Song For Paul

È davvero una creatura misteriosa questo collettivo di New York capitanato dall'altrettanto misterioso Seth Applebaum. Di lui, che in “A Song For Paul” è accreditato come “compositore, arrangiatore e produttore”, sappiamo solo che ha un passato da garage-rocker nei The Mad Doctors. Degli altri (circa) 18 componenti della Ghost Funk Orchestra sappiamo appena che alcuni sono parenti di Applebaum, come Julian Applebaum che suona (egregiamente) il basso.

Non ci serve sapere altro per sostenere con una certa ragionevolezza che il loro “A Song For Paul” è uno dei lasciti migliori dell'anno appena concluso. Tarantiniano senza strafare (ricordate i Khruangbin?), tutto giocato su soluzioni ritmiche degne della suspence di uno spy-movie (“Kaddish”, “Seven Eight”) e parti vocali vicine a certa Blaxploitation (“Modern Scene”) ma anche agli Stereolab (“Spirits In The Distance”), “A Song For Paul” è un disco sofisticato, che fonde il jazz moderno con le venature vintage del soul anni '60. Le scale sghembe di “Slow Down” sono, in questo senso, una dimostrazione di scrittura notevole, “Isaac Hayes” è una confessione in piena regola, “A Conversation” è una riscrittura jazz degna dei Jaga Jazzist migliori e “Skin Im In” è quasi cantabile.

Quando si potrà di nuovo organizzare un bell'aperitivo sul terrazzo, tornerà molto utile.

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