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R Recensione

7,5/10

Dream Theater

Awake

A seguito di un esordio con troppi virtuosismi fuori posto e di un capolavoro che di fuori posto non ne aveva alcuno, i Dream Theater giungono ad “Awake” (di ben 75 minuti). Questo terzo album non si limita però a tentar di replicare “Images & Words”, aggiunge anzi parecchie novità al repertorio.

Si parte in quarta con “6:00”, uno dei loro brani più squisitamente intricati e geometrici. Apre le danze un Portnoy jazzeggiante, seguito da un Moore più freddo del solito e dagli altri musicisti, fino a un LaBrie decisamente incazzato. Colpisce l’abilità della band di snocciolare un po’ alla volta tutti i dettagli dell’enigmatico brano, con una disinvoltura e precisione da far invidia a un orologio svizzero (“6:00 on a Christmas morning, 6:00 on a Christmas morning”). Da applausi. La scattante “Caught In A Web”, sebbene la sequenza dei ritornelli ricordi “Pull Me Under”, è un irresistibile esercizio heavy metal, anche se appesantito da un intermezzo non proprio entusiasmante.

La banale “Innocence Faded” sembra una caduta di stile, nonostante il finale pazzerello, ma poi i Nostri tornano a livelli altissimi con lo strumentale “Erotomania”. Trattasi di uno dei migliori episodi del metal strumentale anni 90, “Erotomania” stupisce per tutti i suoi sei minuti e mezzo grazie a un’eccezionale struttura cangiante che ora incastra le partiture gelide e calcolatrici, ora dipinge emozionanti paesaggi sonori, ora sfoggia intelligenti virtuosismi di chitarra; al confronto “Ytse Jam” era (più o meno) un gioco da ragazzi. La band compone come una squadra di ragionieri, e questo è il loro miglior disegno tecnico. Pur posta a seguito di un tale uragano sonoro, “Voices” non è meno spettacolare, facendo leva su una magniloquenza crimsoniana e un’ottima prova vocale di LaBrie, per altri dieci emozionanti minuti. Lo scopo dell’acustica Silent Man” è semplicemente quello di smorzare la tensione accumulata nei due brani precedenti, ma pur nella sua umiltà funziona.

La successiva “The Mirror” è come tenebra dopo la luce, un brano possente che si fa strada su riff titanici e tastiere malvagie. Se nella opening track LaBrie era alterato qui sembra addiritura sbavare di rabbia (per i suoi standard s’intende, mica quelli di un Jonathan Davis), ben in sintonia con l’atmosfera creatasi. Tinte oscure permeano anche “Lie”, altra ottima parata di trucchi Theateriani e meno lineare del precedente. Anche queste due canzoni rappresentano i Dream Theater al massimo della forma.

Lifting Shadows Off A Dream” sarebbe una buona ballata se non fosse per quell’orribile intermezzo a 3:33. Un ultimo tentativo di tour de force è rappresentato dai dieci minuti di “Scarred”. Il brano in questione si apre dolcemente, anche se in maniera un po’ confusa, per poi pian piano acquistare la coesione e il senso di un brano lungo; rimane comunque il dubbio che i brani estesi di “I&W” sembrassero più compiuti.

Finalmente si giunge alla conclusiva “Space-Dye Vest”, l’ultimo capolavoro dell’album, l’Esperimento di Kevin Moore. Space” è esempio di come con tanta classe si possa passare da una semplice melodia pianistica a un tripudio di calde emozioni servendosi di voci, vari effetti di studio e di un LaBrie dal tono intimamente rilassato. È a tutti gli effetti la canzone che gli ultimi Pink Floyd non sono riusciti a scrivere.

Inutile sprecare lodi sullo shredding di Petrucci, sul batterismo mutevole ed eccelso di Portnoy (degno erede di Peart), sul genio esecutivo di Moore, che non eccede mai con le note, o su Myung al solito un po’ in ombra. Awake” è anche la consacrazione di LaBrie, che per estensione e duttilità si conferma come vocalist tra i più sensazionali del metal. Nel complesso l’album rappresenta un massiccio ampliamento dello spettro stilistico della band, pur contenendo un paio di tracce anonime; con l’accortezza di saltarle la godibilità può essere molto alta. “Awake” è la seconda opera maggiore dei Dream Theater, nonché il loro album più coinvolgente (termine da estendersi anche al videoclip di Lie”).

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Voto degli utenti: 4,8/10 in media su 3 voti.
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PierPaolo 6,5/10

C Commenti

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Utente non più registrat, autore, alle 9:50 del 14 novembre 2018 ha scritto:

Piccola sottolineatura che non mi sento di tenere solo per me. Nella recensione quando parlavo di Scarred avevo scritto sì che i tour de force di I&W erano più compiuti, ma anche che non era proprio il caso di fare gli schizzinosi frase detta un po' alla buona che giustamente è stata tagliata, ma che tuttavia dava un importante significato aggiunto. Semplicemente perché in Scarred ci sono dei passaggi che sono davvero meravigliosi. Quindi anche se tanta gente sarebbe pronta a definire Scarred uno dei brani lunghi minori dei Dream Theater, voglio mettere in chiaro che non sono assolutamente di questo avviso. Scarred è un brano che dopo un po' di confusione riesce ad ingranare davvero bene, e in seguito si rimpiangerà che non siano più capaci di fare brani come questo. Ah comunque ho intenzione prima o poi di snocciolare le recensioni di tutti i lavori dei Dream Theater, la prossima sarà di sicuro il discusso Six Degrees Of Inner Turbolence. Per la gioia di fabfabfab/Maradei/Marco Biasio & co