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R Recensione

7,5/10

Paolo Spaccamonti

Rumors

Nel nostro continente, il 9,2% delle api selvatiche e il 25,8% dei bombi rischiano l’estinzione in un prossimo futuro: a dirlo non sono io, o Voyager, ma il commissario europeo all’Ambiente e alla Pesca, il maltese Karmenu Vella. Colpa di acari, parassiti, dell’inquinamento atmosferico e, forse, dell’inquinamento acustico, del bombardamento di onde radio che fanno perdere orientamento ed identità al piccolo animale. È risaputo che la sua eventuale scomparsa  dall’ecosistema provocherebbe, sopra ogni cosa, la mancata impollinazione di una sterminata quantità di piante, che crescerebbero con estrema difficoltà e non garantirebbero più le proprie funzioni di vegetale in quanto tale e, allo stesso tempo, fonte di cibo per gli animali. A loro volta gli erbivori domestici soffrirebbero terribilmente la fame: e con essi l’uomo, in un sol colpo privato di frutti, carne, miele e legname. Un disastro globale, un’inarrestabile reazione a catena.

L’immagine di Paolo Spaccamonti che, alla ricerca della propria macchina, vaga alticcio, in dolce compagnia, per la campagna veneta (umiliata, stuprata, torturata), riuscendo a ritrovare il veicolo grazie all’aiuto di uno sciame di api, è fortissima e poetica. L’ape regina, in questo caso, è la personificazione della musica del chitarrista torinese: un esemplare raro, delicato, in grado di ricongiungere col mondo intero. Da questa surreale esperienza (lo specchio cristallino della meravigliosa inesplicabilità dell’esistenza) nasce, ça va sans dire, uno degli episodi migliori di “Rumors”, terzo disco solista per Paolo, a quattro anni di distanza dal notevole “Buone Notizie” (ma cronologicamente prossimo alle jam sessions con Julia Kent, Paolo Dellapiana e Ivan Bert, a “Frammenti – Stand Behind The Man Behind The Wire”, split con Stefano Pilia del 2013, alle “August Sessions” con Daniele Brusaschetto di fine 2014): “Seguiamo Le Api”. Da un’essenziale tessitura melodica nascono e si sviluppano centinaia di fili diversi, progenie del drone e di una forma ambientale ricorsiva che, dal Brian Eno degli aeroporti sino agli Stars Of The Lid, arriva alla propria conclusione senza, di fatto, raggiungerla.

Su questa linea si inserisce anche un altro dei momenti topici del platter, “Io Ti Aspetto”. Mi piace pensare che non sia affatto casuale se il brano condivida il titolo con un’altra, splendida canzone di qualche anno fa. Si trattava, allora, della lucida confessione a cuore aperto, bagnata di brandy e asciugata dal fumo di sigaretta, di un padre in ansia per una figlia che tarda a tornare a casa: uno sconnesso torrente di preoccupazioni modellate a guisa di elegia per una giovane, angelica figura femminile. Anche qui il pretesto, difatti, è il rischio di perdere una persona amata, l’attrito tra i delicati arpeggi in loop e certe ombreggiature jazz rock, prima che il violoncello di Julia Kent guadagni il proscenio e stringa una copula neoromantica con la chitarra. Si susseguono ancora le apnee, naturalmente, ma lo scioglimento tende verso l’happy end o, al massimo, verso il mezzo sorriso in agrodolce del finale aperto. Il Teatro Degli Orrori svoltava pagina col siluro lizardiano di “Due”: Paolo Spaccamonti si divide, invece, tra la sulfurea “Croci / Fiamme” (la crudeltà noise della Amphetamine suonata dagli OvO, e difatti è Bruno Dorella a recitare nel ruolo del vessillifero infernale) e “Il Delinquente Va Decapitato”, ansiogeno landscape industrial dalle venature quasi black metal (rieccola, la collaborazione con Brusaschetto).

Rumors” – titolo dedicato a tutta quella serie di relazioni superficiali che si è costretti, giocoforza, a stringere nella vita di tutti i giorni – è un disco realmente stupefacente. Vero, anche i due che lo precedevano, a modo loro e per ragioni diverse, lo erano: “Undici Pezzi Facili” era la captatio benevolentiae di un talentuosissimo esordiente/non esordiente, “Buone Notizie” schiudeva uno scrigno di delizie strumentali difficili a dimenticarsi. Al terzo giro di ruota, lo spettro sonoro di Paolo Spaccamonti raggiunge la pienezza definitiva, il bilanciamento (quasi) perfetto fra perizia strumentale, concretezza di scrittura, apporto esterno, eterogeneità stilistica. Si prenda la doppietta iniziale. La title track si apre con le rade note sparse del centralissimo piano di Dario Bruna, cui presto si aggiunge la cellula melodica del basso di Spaccamonti. E la sei corde?, direte voi. La sei corde fa sentire da subito la sua presenza, sfilacciata in stringhe, ricompattata in lunghi bordoni, infine (da 1:45 in avanti) protagonista indiscussa di una sontuosa cerimonia nu-gaze. Poi baluginano, entusiasmanti, i bagliori di “Dead Set”, sulle cui ritmiche ibride new wave si innesta un favoloso, ondivago chitarrismo (eccezionale la sezione conclusiva, che unisce assieme accecante sentimento Mogwai, struttura pentatonica e impostazione da soundscapes frippiani). I brani più lunghi sono, manco a dirlo, anche i più avventurosi. “Bonnie & Bonnie” è un tango introspettivo à la Nels Cline, su cui si affacciano – con grandeur cinematografica – finestroni ambientali: le risacche ieratiche di “Navigare A Vista” ricordano l’ultimo, tormentato periodo di The Drift; “Fango” approfondisce, come già in passato, il sincretismo umano/elettronico (i beat sono di Davide Tomat), dalla prospettiva di un western contemporaneo interpretato da soli cybernauti.

Dovessi trovare un difetto a “Rumors”, ecco, direi che gli arpeggi slintiani di “Giorni Contati” nulla aggiungono a quanto detto in precedenza: ma si tratta di piccolezze, pustjaki, come direbbero in russo. Citavamo prima Stefano Pilia: il suo nuovo “Blind Sun – New Century Christology” promette di garantirgli un battesimo da solista con tutti i crismi. Per Paolo Spaccamonti, invece, “Rumors” è – liturgicamente e non – la confermazione.

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Voto degli utenti: 7,8/10 in media su 2 voti.
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C Commenti

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fabfabfab (ha votato 8 questo disco) alle 10:44 del 6 maggio 2015 ha scritto:

E vabbè, Paolino ha cacciato fuori il discone. Stavolta spacca definitivamente!